Finale con rissa al Consiglio europeo di Bruxelles. La ragione: uno scontro sui soldi, su uno sfondo di diffidenza reciproca e di sfida degli stati in difficoltà contro la Commissione presieduta da José Manuel Barroso, al suo ultimo exploit, prima di passare la mano al – si spera – più intelligente Jean-Claude Juncker. La Commissione ha ingiunto ad alcuni paesi membri – tra cui Italia, Gran Bretagna e Olanda – di versare più soldi entro dicembre, per chiudere il bilancio Ue del 2014. L’Italia dovrebbe altri 340 milioni, la Gran Bretagna 2,1 miliardi, l’Olanda 600 milioni. Invece, la Francia e la Germania dovrebbero venire rimborsate, rispettivamente per un miliardo e 780 milioni.

La confusione dipende dalle modifiche sul calcolo dei pil dei paesi membri, di recente introdotte dalla Commissione, che ora prende in conto stranamente anche l’economia sommersa, i fatturati dei traffici illeciti o della prostituzione. Il ministro delle finanze olandese, Jeroen Dijsselbloem, peraltro presidente dell’Eurogruppo, è volato all’Aja per discutere questa «sorpresa molto sgradevole». Ma è David Cameron ad aver avuto un’esplosione di rabbia. Il premier britannico ha detto «non pago» (per il momento, non ha detto che non pagherà più tardi), riprendendo la famosa posizione di Margaret Thatcher – I want my money back – che è all’origine del famoso «rebate» britannico, pagato soprattutto da Francia e Germania. Cameron ha citato Matteo Renzi, che avrebbe parlato di «arma letale» usata dalla Commissione, che si è comportata per il premier britannico «in modo spaventoso». Cameron ha chiesto una riunione d’urgenza dei ministri delle finanze, di fronte al ritorno in primo piano dell’annosa questione del contributo britannico alle finanze della Ue, in un momento in cui i conservatori inglesi stanno perdendo terreno di fronte agli eurofobici dell’Ukip. Per contrastare l’Ukip, Cameron ha promesso un referendum sull’Europa nel 2017 al più tardi, se verrà rieletto. Comunque, la discussione sui contributi degli stati al bilancio comunitario riprenderà all’eurogruppo del 7 novembre, con la nuova Commissione Juncker già in carica.

La Commissione uscente sta facendo infuriare la Francia, a causa della lettera di chiarimenti inviata anche a Parigi, oltre all’Italia, a Malta, all’Austria e alla Slovenia. L’esempio di Renzi, che ha pubblicato il contenuto della lettera, sta suscitando una forte polemica a Parigi: non solo dal Fronte nazionale o a sinistra, ma anche dei deputati socialisti chiedono che Hollande faccia la stessa cosa. Ma Hollande minimizza: la lettera è «molto banale» per il presidente francese, che ha comunque ribadito che la finanziaria non cambia e che la Francia non andrà al di là dei 21miliari di tagli per il 2015 (50 entro il 2017). Una lettera «conforme alle procedure – ha commentato Hollande – che non ha grande significato al di là di chiedere un certo numero di informazioni e precisioni». Hollande ha precisato che la Francia intende rispettare gli impegni presi con Bruxelles, ma «con un massimo di flessibilità». La lettera è stata pubblicata sul sito di Mediapart, ma alcuni deputati temono che il testo diffuso non sia completo e che possa contenere delle affermazioni che «Hollande non tiene a far conoscere».

José Manuel Barroso è nel mirino. Il presidente uscente della Commissione viene sospettato di voler «punire» la Francia, che non rispetterà ancora per altri due anni il parametro del 3% di deficit, per assicurare il proprio avvenire politico: difatti, Barroso, che pur avendo mostrato molta deferenza verso gli Stati uniti non è riuscito ad ottenere un posto all’Onu o alla Nato, a cui ambiva, adesso punta a farsi eleggere presidente del Portogallo. Ma i portoghesi hanno pagato a caro prezzo la cura di austerità imposta da Bruxelles. Barroso deve così mostrare di sapersi imporre anche ai grandi paesi (la Francia sarebbe il bottino migliore) e non solo ai piccoli.