La posizione dei partner europei sulla confusione che regna a Londra, dopo la forte bocciatura al di là del previsto del piano di divorzio tra Gran Bretagna e Ue e la sfiducia presentata da Jeremy Corbyn bocciata per 19 voti ieri sera, è riassunta in un indovinello di Donald Tusk, presidente del Consiglio Ue: «Se l’accordo è impossibile e se nessuno vuole un’uscita senza accordo, chi avrà alla fine il coraggio di dire quale è la sola soluzione positiva esistente?».

LA UE, IN QUESTE ORE, in attesa di un improbabile «Piano B» di Theresa May entro lunedì, non ha altro da fare che aspettare, per capire che cosa vogliono i britannici. Che non lo sanno: continuano a dibattersi tra tre soluzioni, i pro-Europa sperano in un secondo referendum (ma con quale domanda? sul testo dell’accordo o sulla possibilità di non uscire?), i brexiters soft pensano che la sola strada sia mantenere la Gran Bretagna nel mercato unico (soluzione alla norvegese), mentre gli hard-brexiters sognano una Singapore-on-Thames, un regno della finanza ultra-liberista senza regole sul lavoro e sull’ambiente.

Gli europei sono preoccupati, temono un no deal il 29 marzo alle ore 24 e l’indomani delle relazioni commerciali regolate solo dalle norme di base della Wto. «Il rischio di un no deal disordinato è aumentato», ha affermato il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker. «Mai il rischio di un no deal è stato così grande» gli ha fatto eco il negoziatore Ue per la Brexit, Michel Barnier.

L’Irlanda ha espresso preoccupazione: «Il risultato del voto accresce il rischio di una Brexit disordinata, di conseguenza il governo continua ad intensificare i preparativi in vista di questo risultato». Barnier non ha chiuso la porta a Londra: «La Ue resterà unita e determinata a trovare un accordo».

APERTE A UN ACCORDO, cioè a prolungare le discussioni per evitare un no deal, sono anche Francia e Germania. «È ancora tempo per negoziare – ha affermato Angela Merkel – mi dispiace molto che la Camera dei Comuni abbia respinto l’accordo, noi vogliamo che i danni, che ci saranno in ogni caso, siano il meno possibile, cerchiamo di trovare una soluzione ordinata assieme».

L’Eliseo ha annunciato ieri che i preparativi per un eventuale no deal si stanno accelerando, oggi ci sarà il via libera al governo per legiferare per decreto su questo tema (dalla Francia passa un importante contingente dell’import-export britannico). Per Emmanuel Macron «forse i britannici vogliono avere più tempo, forse vogliono andare oltre le elezioni europee». Come fa presupporre la lettura del voto di martedì a Westminster con 600 deputati su 650 sono contro il no deal.

Per la ministra degli Affari europei, Nathalie Loiseau, «giuridicamente e tecnicamente è possibile» rimandare la data dell’uscita. Ma per far cosa? «È un’opzione – precisa Philippe Lamberts, europarlamentare Verde – ma a condizione che permetta di sormontare l’impasse attuale, è inutile rimandare la data d’uscita se è solo per lasciare che la classe politica britannica continui a litigare».

ANDARE OLTRE la data del 29 marzo apre delle difficoltà: se l’allungamento dell’articolo 50 va oltre le elezioni europee (23-26 maggio), i britannici dovranno votare per i loro eurodeputati, una situazione surrealista se la prospettiva resta la Brexit (tra l’altro, è già stata prevista una parziale spartizione dei seggi britannici tra alcuni altri paesi). L’accordo di divorzio bocciato a Londra (approvato dai 27 il 25 novembre scorso) è il frutto di 18 mesi di negoziati. Non sarà facile trovare un nuovo accordo,

Londra non è stata convinta dall’ultima concessione di Bruxelles (il backstop in Irlanda «forzatamente temporaneo», cioè la permanenza nell’Unione doganale non sarà eterna). Molti paesi Ue escludono di riaprire il negoziato, come l’austriaco Sebastian Kurz. Intanto, per rimandare la data di uscita, alla richiesta di Londra deve seguire un voto all’unanimità dei 27 paesi. Invece, secondo una decisione della Corte di Giustizia del 4 dicembre scorso, la Gran Bretagna potrebbe decidere da sola di rinunciare all’articolo 50, cioè di non uscire dalla Ue. Il mondo della finanza, stando alle reazioni di ieri, sembra credere a questa ipotesi o, al massimo, a una Brexit dolce, escludendo per ora il baratro del no deal.