«Con la nuova legge sul riassetto del sistema radiotelevisivo, mettiamo, finalmente, delle regole chiare e ciò avviene per la prima volta negli ultimi venticinque anni. È un bene per la democrazia» dichiara al manifesto Lefteris Kretsos, segretario generale per l’informazione e la comunicazione del governo Tsipras. «Vogliamo superare il problema della corruzione e la rete di interessi incrociati tra parte del mondo politico ed economico, vogliamo trasparenza», aggiunge Kretsos, dal momento che, «in Grecia, non c’è stato un solo ed unico Berlusconi».

Perché questa legge sulle frequenze televisive è stata considerata una priorità dal governo Tsipras?
In realtà si tratta di una legge che il governo greco avrebbe dovuto approvare già venticinque anni fa. Il nostro paese ha tardato in modo inspiegabile a regolamentare il settore dei media e della comunicazione, che va a toccare aspetti molto importanti per lo stesso funzionamento della democrazia. Parlo della questione della trasparenza, della possibilità che ci siano rapporti “particolari” tra coloro che sono proprietari dei mezzi di informazione e gruppi bancari, della possibilità di firmare contratti con settori dello stato e, ovviamente, dell’influenza che si esercita sull’opinione pubblica e sulla realtà politica. In Grecia c’è un grande problema di corruzione e di una rete di interessi incrociati tra parte della politica e del mondo economico, ed è per questo che stiamo cercando di superare questa situazione e facendo in modo che il paese non venga più identificato con questi problemi. Ci battiamo, inoltre, perché il diritto del lavoro e le regole della previdenza vengano applicati, visto che un sistema dei media che non risponde a delle regole, esercita pressioni anche sui giornalisti.

Con la riforma appena approvata il governo greco ritiene di poter garantire che questi ’do ut des’ di interessi, appalti pubblici e sostegni diretti e indiretti di cui parla, finiranno?
Sì, perché vengono poste delle regole molto precise riguardo a chi può essere proprietario di una rete televisiva nazionale a trasmissione digitale. Dovrà dimostrare da dove provengono i suoi capitali, anche con la sua fedina penale – non deve avere mai fatto bancarotta fraudolenta – mentre una società che firma contratti con lo stato in altri settori non può essere proprietaria di un mezzo di informazione. E lo stesso vale anche per i loro proprietari e i membri dei consigli di amministrazione. Abbiamo deciso di mettere delle regole molto stringenti riguardo all’obbligo di mantenere un capitale sociale minimo, versato sin dall’inizio, e perché la ripartizione dei capitali non cambi sino a che la concessione è in vigore. Sono tutte condizioni precise che vengono poste per la prima volta e inoltre queste concessioni potranno essere ritirate, nel caso in cui non vengano rispettati gli obblighi di legge.

Molti media hanno sostenuto gli avversari di Syriza, sia alle elezioni, che al referendum di luglio. Come spiega questa scelta di campo?
In modo molto diretto, potrei dire che la scelta è stata fatta perché Syriza ha rotto le uova nel paniere a questo groviglio di interessi. È certamente un caso unico al mondo, quello della Grecia, un paese in cui per venticinque anni le televisioni private hanno trasmesso grazie a dei permessi temporanei e a continui rinvii. Una realtà che è stata condannata anche dal Consiglio di Stato del nostro paese, e in chiaro contrasto con il diritto comunitario che difende il pluralismo dell’informazione in modo molto chiaro e che condanna le posizioni dominanti nel mercato dei media. Non sono state rispettate, inoltre, né la Costituzione, né la legge che afferma che tutti i cittadini devono pagare le tasse in base alla loro capacità contributiva. Nella campagna per il referendum dello scorso luglio abbiamo potuto constatare quanto fosse non equilibrato il sistema dei media, con dibattiti televisivi a cui partecipavano anche sette sostenitori del “si” al piano di austerità dei creditori e uno solo che difendeva le ragioni del “no”. C’è stato anche un uso falso e calunnioso delle notizie. Mi riferisco a immagini che sono state trasmesse in quei giorni, ma che erano state registrate in Turchia subito dopo un terremoto, oppure in Sudafrica, in seguito a eventi tragici accaduti in alcune banche. Malgrado tutto questo, il popolo greco ha dimostrato di avere la capacità critica e la maturità necessaria per condannare questo modo di fare informazione.

L’Italia ha vissuto e in parte sta ancora vivendo il fenomeno Berlusconi. Con questa legge si vuole evitare che la Grecia segua la stessa strada, cercando di non identificare il potere mediatico con quello politico?
In realtà la Grecia ha seguito questa strada per molti anni. Non c’era un solo ed unico Silvio Berlusconi, nel nostro paese, ma c’è stato un sistema politico bipolare, il quale ha firmato molti accordi con fondi di investimento e società straniere, che sono ora oggetto di controlli approfonditi. Ci sono stati gli scandali della borsa e molti altri tentativi di redistribuire il reddito a discapito del lavoratori. Si trattava di una situazione strutturata, che è diventata ancora più chiara con lo scoppio della crisi economica. Credo che gli italiani possano comprendere lo sforzo che sta facendo Syriza, sia per il predominio del gruppo Berlusconi in tutti questi anni, che per l’esperienza delle concessioni per la trasmissione in digitale.

C’è chi vi critica, dicendo che il vostro governo ha troppi poteri, riguardo alla possibilità di decidere il prezzo base per le concessioni e il numero delle reti…
In Grecia è in corso uno scontro tra il vecchio e il nuovo, e lo vediamo chiaramente anche per il settore dei media. In parlamento abbiamo sentito obiezioni che facevano quasi sorridere: ad esempio, che con il digitale lo spazio televisivo è infinito e quindi la legge sarebbe anacronistica. O che il ministro alla presidenza Nikos Pappàs detiene troppi poteri, mentre ha solo la possibilità di definire il numero delle reti. Il prezzo di partenza per le concessioni lo deciderà insieme al ministro delle finanze. Tutto ciò, mentre nel nostro paese molte zone non hanno ancora accesso al segnale digitale. Vogliamo far capire a tutti che la televisione è parte integrante della democrazia. Non è solo intrattenimento, ma contribuisce a creare lo spirito critico e a diffondere informazione e conoscenza.

Come valuta la visita di Francois Hollande ad Atene, a cui è stato dato un peso politico molto forte?
È stata realmente una visita molto importante, la prima visita di un capo di stato di un grande paese nel corso degli ultimi dieci mesi. Riteniamo fondamentale che si sia espresso a favore della trattativa sulla ristrutturazione del debito. È una posizione che Hollande aveva già preso in passato, ma ora viene riconfermata. La Grecia si sta allontanando velocemente dal rischio Grexit e sta entrando in una nuova fase di tranquillità. Ma, per poterne vedere i risultati, dovremo poter realizzare tutti gli interventi necessari, come quello, appunto, della legge sul riassetto del sistema radiotelevisivo.