La conquista del monte Bursayah e del vicino villaggio di Qastal, nella parte orientale di Afrin, vicino al villaggio di Azaz, rappresenta il primo successo strategico dell’avanzata turca nel cantone curdo di Afrin, a più di una settimana dall’inizio dell’attacco. Piccoli avanzamenti anche nella parte occidentale, con la cattura del villaggio di Ushagi, mentre il resto dell’area è difeso strenuamente dalle Sdf.

Il numero dei caduti è oggetto di una feroce lotta mediatica: fonti militari turche sostengono di aver eliminato oltre 600 militanti nelle fila di Ypg e Sdf, mentre le milizie curde sostengono di aver causato perdite di 350 elementi alla coalizione tra esercito turco e gruppi ribelli riuniti sotto la guida di Ankara con il nome di Esercito libero siriano (T-fsa).

L’Osservatorio siriano per i diritti umani ha invece stimato in circa 60 i decessi per ciascuna parte. Secondo le stime dell’organizzazione Airwars, che ha operato una minuziosa raccolta degli eventi, sono circa 55-60 i decessi tra i civili dall’inizio dei combattimento.

Nei giorni scorsi si è registrato anche il primo attacco suicida dallo scoppio delle ostilità: una combattente curda, nome di guerra Avesta Khabur, si è fatta esplodere nell’area di Jandaris per colpire una colonna di soldati e un mezzo corazzato del T-fsa.

Mentre a Sochi comincia il dialogo sponsorizzato dalla Russia per trovare una soluzione al conflitto, possibilmente favorevole al governo centrale di Damasco, Ankara deve invece incassare il rifiuto americano di abbandonare Manbij, invocato a gran voce nei giorni scorsi dal governo turco per bocca dei suoi più alti esponenti. Il comandante Joseph Votel, della struttura Centcom americana dislocata nella regione, ha dichiarato alla Cnn che non è previsto alcun piano di ritiro.

Se il presidente turco Erdogan vorrà dare concretezza alle minacce, paventate anche nei giorni scorsi, di invadere anche la zona di Manbij, dovrà trovare il modo di scacciare dalla regione la presenza americana, con il rischio di uno scontro militare tra due dei più importanti membri Nato.

I riflessi della guerra, per cui il portavoce del parlamento Ismail Kahraman non ha esitato a invocare una jihad, si fanno sentire in Turchia. Il ministero dell’interno ha rilasciato una nota che indica in 331 i fermi per «propaganda terroristica a mezzo internet» per i post in sostegno alla difesa di Afrin o critici della guerra.

Per almeno 15 persone è arrivata la convalida dell’arresto. Molti i membri regionali e provinciali del partito Hdp, ma figurano anche numerosi studenti e pensionati. Nove membri del partito, tra cui la co-leader Figen Yuksekdag, hanno annunciato l’inizio di uno sciopero della fame per protestare contro l’operazione di Afrin.

Nel mirino del governo anche l’Associazione dei medici turchi, che con un comunicato ha definito la guerra in corso «il risultato di decisioni umane che causano danno e minacciano la vita pubblica». E il comunicato continua: «Ogni guerra porta con sé una tragedia umana e causa irreparabili danni fisici, psicologici, sociali e ambientali. Come membri di un ordine professionale che ha fatto voto di prendersi cura del benessere della gente, siamo tenuti a ricordare che sostenere la vita e la ricerca della pace è il nostro dovere primario. L’unico modo per contrastare la guerra è difendere una vita pacifica, indipendente, egualitaria e democratica. No alla guerra, pace subito».

Erdogan ha attaccato duramente l’organizzazione: «Una parte di questa cosiddetta Associazione dei medici turchi, disturbata dalla lotta al terrorismo, vorrebbe condurre una campagna di protesta contro la guerra. Non avevamo mai sentito questi amanti del terrorismo parlare di pace finora».

Alle parole del presidente Erdogan è seguita un’immediata azione giudiziaria: la procura di Ankara ha aperto un fascicolo e avviato un procedimento legale contro undici membri dell’associazione, mentre anche il ministro degli interni Suleyman Soylu ha annunciato che sporgerà denuncia.

È intervenuto anche il presidente della Camera dei medici di Istanbul Selcuk Erez in un’intervista rilasciata al portale turco Bianet in difesa dell’associazione: «Augurarsi che i figli del nostro paese e dei nostri vicini non muoiano è un atto patriottico e umanitario. Un medico preferirà sempre la pace alla guerra. Questo atteggiamento non può essere considerato terrorismo».