Lontano dalle passerelle patinate e dai sorrisi istituzionali del “China Day” di Istanbul, Ankara si prepara a inviare una delegazione nella regione nord occidentale cinese dello Xingjiang per investigare sulla situazione della comunità turcofona degli uiguri. La Turchia è l’unico Stato musulmano ad avere espresso preoccupazioni riguardo il trattamento della minoranza islamica da parte di Pechino, nonostante la virata dello scorso luglio da parte del presidente Recep Tayyip Erdoğan, quando, durante una visita nel Paese, aveva affermato che la gente di tutte le etnie dello Xinjiang stava conducendo “una vita felice tra lo sviluppo e la prosperità della Cina”. “Il nostro Ministero degli Esteri sta conducendo un’indagine sulla questione”.

Spero che con questo, e come risultato delle osservazioni fatte da una delegazione che si recherà sul posto, determineremo più chiaramente la posizione che prenderemo”, ha detto Erdoğan a margine della 74esima sessione dell’Assemblea generale annuale dell’Onu. Il presidente turco ha anche incontrato i membri delle comunità turche e musulmane a New York. Il vicepresidente della New York Police Department (NYPD) Muslim Officers’ Association, il servizio di pattugliamento contro gli attacchi di matrice islamofoba, Ali Hammutoğlu, insieme ad altri membri dell’organizzazione, ha accolto Erdoğan alla riunione a cui hanno partecipato migliaia di persone provenienti da tutto il Paese, ha riferito lunedì il sito web di USATurkNews.

Pechino è stata accusata dagli attivisti per i diritti umani di mantenere gli oltre un milione e mezzo di musulmani uiguri in centri di detenzione, che sono stati presentati come veri e propri “campi di concentramento del XXI secolo”. A febbraio, Ankara aveva descritto i campi di “rieducazione” come “una grande vergogna per l’umanità” e aveva invitato Pechino a chiuderli.

La Turchia aveva inoltre accusato il governo cinese di “torture e lavaggio del cervello nei centri di internamento”. La Cina aveva duramente negato le accuse di maltrattamenti contro la minoranza, presentando le misure adottate come necessarie per il mantenimento della sicurezza interna del Paese. Solo poche settimane fa, anche il Qatar aveva preso le distanze dalle politiche di sinizzazione adottate da Pechino. Il piccolo Stato del Golfo aveva chiesto che la propria firma fosse ritirata da una lettera siglata da ben trentasette Paesi, tra cui l’Arabia Saudita, l’Algeria, il Kuwait, in cui si esprimeva sostegno alla Cina in merito alla gestione della questione uigura.