C’è una Tunisia sommersa, che non si prende per mano per paura di essere torturata dai poliziotti. La stessa che ha guardato i festeggiamenti di piazza per la vittoria di Kais Saied tra paura e fiducia.

Paura per l’ascesa di un presidente che si è più volte dichiarato contro la depenalizzazione del reato di omosessualità e fiducia in quell’inversione di rotta rispetto all’establishment a scapito delle libertà individuali che ha sedotto anche tanti attivisti.

E poi ci sono i 52 seggi di Ennahdha, il partito islamista moderato, figli di un voto utile, frutto della mancanza di partiti anti-sistema con programmi ben strutturati, più che di un reale sentimento conservatore.

«La vittoria di Kais Saied alle presidenziali e di Ennahdha alle legislative non sono buone notizie per noi. Kais Saied ci accusa di prendere soldi dall’Occidente per destabilizzare il Paese. Non siamo cittadini, non abbiamo gli stessi diritti degli altri tunisini», ci dice Mounir Baatour, presidente di Shams, prima associazione Lgbt ufficiale tunisina, la cui legalità è stata riconosciuta solo lo scorso 20 maggio.

«Sono relativamente preoccupato. Non credo che nei prossimi anni la situazione potrà cambiare in peggio o in meglio per le persone Lgbt». Al momento, gli attivisti di Shams si battono per la depenalizzazione dell’omosessualità. Una materia, quella dei rapporti fra persone dello stesso sesso, disciplinata dall’articolo 230 del codice penale tunisino e che, oltre a legittimare pratiche come l’ispezione anale, prevede il carcere fino a tre anni.

«Molto dipenderà dal governo che si andrà a formare. Se Ennahdha si troverà costretto ad allearsi con partiti di sinistra, allora è possibile che il tema delle depenalizzazione dell’omosessualità entri nel patto di governo, così come la legge sull’eredità. D’altronde, dentro Ennahdha, c’è una corrente più liberale che spinge per la tutela delle libertà individuali», osserva Takwa Haddad, attivista. «Di certo sappiamo che i diritti delle donne non verranno toccati. Su questo siamo stati più volte rassicurati».

Attualmente la situazione delle persone Lgbt è spaccata in due. «Lungo la costa e nella capitale Tunisi si respira più libertà. Le autorità arrivano a chiudere un occhio, anche per compiacere il turista. Ma se due ragazzi provano a tenersi per mano in pubblico, rischiano una denuncia e il test anale. Per le lesbiche, invece, non è prevista la reclusione, ma solo una denuncia», aggiunge Takwa.

Ma è nelle zone interne del Paese che la vita per le persone Lgbt si fa più dura, tra esorcismi e ripudi da parte delle famiglie. Una condizione, però, che non ha nulla a vedere con la religione.

«L’articolo 230 è un argomento tabù in Tunisia. Nessuno parla di omosessualità – conclude l’attivista – La maggior parte pensa che sia più importante discutere dei temi economici. Prima delle elezioni, nessun candidato si è espresso a proposito di diritti e libertà individuali. Discutere dell’articolo 230 sarebbe equivalso a perdere voti».