Nove anni. Tanto è passato dalla morte di Chokri Belaid, leader della sinistra tunisina freddato sotto la sua abitazione da un gruppo di islamici radicali il 6 febbraio 2013. In tutto questo tempo giustizia non è stata fatta. Nelle pieghe di un dossier molto delicato e non ancora risolto si sono incrociate accuse di imparzialità e corruzione contro i magistrati, in primis dalla famiglia dello stesso Belaid.

SECONDO DIVERSE REALTÀ politiche e della società civile, dietro all’omicidio ci sarebbe il movimento di ispirazione islamica Ennahda, il partito di Rached Ghannouchi che per dieci anni ha dettato l’agenda politica della Tunisia e non solo.

Nella notte tra sabato e domenica, in uno dei luoghi simbolo della repressione portata avanti dal regime dell’ex despota Zine El-Abidine Ben Ali – il ministero degli Interni – il presidente della Repubblica Kais Saied ha cavalcato questo anniversario per tirare l’ennesima picconata alle fragili istituzioni del paese: lo scioglimento del Consiglio superiore della magistratura (Csm), il più importante organo di controllo indipendente del potere giudiziario. Una mossa che ha fatto gridare da più parti al consolidamento di quell’autoritarismo dettato dal responsabile di Cartagine dal 25 luglio scorso, quando ha sciolto il governo e congelato il parlamento sulla scia di una lunga crisi economica, sociale e politica.

Da allora Saied non ha lesinato critiche all’operato della magistratura, sfiduciata da tempo anche dai tunisini, alzando l’asticella del regime personale e di pieni poteri a un livello superiore.

«DA QUESTO MOMENTO il Consiglio superiore della magistratura appartiene al passato», ha decretato il presidente a mezzanotte tra il 5 e il 6 febbraio, poche ore prima della marcia indetta dalle compagne e dai compagni di Chokri Belaid per chiedere verità e giustizia sul caso. «Dico ai tunisini di manifestare liberamente. È loro diritto, come il nostro è quello di dissolvere il Csm». Così è stato.

Domenica mattina diversi partiti della sinistra e sigle sindacali si sono trovati in Place des Droits de l’Homme di fianco alla grande avenue Mohamed V, chiusa al solito intenso traffico settimanale e teatro nel novembre 2015 di un attentato terroristico che causò 13 morti.

CIRCA MILLE PERSONE si sono dirette verso la centralissima avenue Bourguiba lanciando cori contro Ennahda e Rached Ghannouchi nel chiaro tentativo di identificare in maniera netta i veri colpevoli dell’omicidio del loro compagno. A campeggiare sulla manifestazione è stato il volto dell’avvocato, militante per i diritti dell’uomo e leader di Watad Chokri Belaid, con il suo sguardo gentile e il folto baffo stampato sulle centinaia di bandiere sventolanti.

Il corteo, seppure teoricamente vietato a causa delle misure imposte dal governo per contenere la nuova ondata epidemica che sta interessando il paese, si è concluso pacificamente. A differenza della manifestazione del 14 gennaio, giorno dell’anniversario della cacciata di Ben Ali nel 2011, quando la polizia ha represso le proteste con cannoni ad acqua, manganelli e decine di arresti.

POCHE ORE DOPO è andata in onda un’altra scena. Proprio di fronte al Consiglio superiore della magistratura circa 200 persone si sono ritrovate per sostenere la decisione di Saied. Un numero non elevato ma comunque denso di significato. Il presidente del Csm Youssef Bouzakher ha affermato di sentirsi minacciato e il ministero degli Interni gli ha offerto una scorta personale. Ha anche rifiutato la decisione presidenziale definendola non legittima. Una dichiarazione che è servita a poco: da ieri mattina gli uffici del Consiglio sono chiusi e le forze dell’ordine hanno vietato al personale di entrare a lavoro.

Il presidente della Repubblica Kais Saied, il quale si sta preparando a presentare importanti emendamenti ad personam alla costituzione in un referendum convocato per il prossimo 25 luglio, ha offerto con un colpo di spugna una soluzione radicale al popolo tunisino, frustrato da anni di mala gestione giudiziaria. Quello che ha stupito diversi analisti ed esperti è stata la mancanza dell’alternativa.

SE UNO DEI PROBLEMI principali del paese era la parzialità e la corruzione dei giudici, al momento non ci sono possibili decreti che possano sostituire il Consiglio superiore. Fino a domenica Saied aveva tra le sue mani il controllo del potere esecutivo e legislativo della Tunisia. Oggi ha allungato la mano anche su quello giudiziario.