25 luglio 2021, in Tunisia è la festa della Repubblica. Sono le 23 quando il presidente Kais Saied decide di premere il bottone rosso di emergenza congelando per almeno 30 giorni le attività parlamentari, togliendo l’immunità ai 217 deputati dell’Assemblea dei rappresentanti del popolo e arrogando su di sé i compiti dell’esecutivo. La decisione arriva dopo quella che verrà ricordata nei prossimi anni come «la giornata della rabbia». Un vero e proprio spartiacque per il percorso di transizione democratica.

La giornata di domenica ha rispecchiato sul campo le tensioni che dalla fine dell’anno scorso stanno interessando la presidenza della Repubblica da una parte e il governo di Hichem Mechichi, sostenuto in maggioranza dal partito di ispirazione islamica Ennahda, dall’altra.

Fin da sabato gli accessi alle arterie principali di Tunisi erano bloccati. Il giorno dopo il paese si è risvegliato con una serie di manifestazioni che hanno coinvolto tutte le città principali dalla costa all’entroterra, a partire dalla capitale con un’ingente manifestazione di fronte al parlamento per chiedere le dimissioni dell’ormai vecchio governo.

Ricostruire chi abbia convocato la cosiddetta «giornata della rabbia» è difficile. Resta il dato che migliaia di persone si sono riversate per strada, in maniera ancora più ingente rispetto ai movimenti di gennaio 2021 che hanno portato all’arresto di oltre 2mila persone.

Alle immagini degli slogan protestatari e degli arresti, che ancora una volta hanno riacceso il dibattito sulla violenza della polizia, stavolta l’elemento di novità è stato l’assalto alle sedi regionali di Ennahda. Da Sousse a Tozeur a Sfax, i manifestanti hanno staccato le insegne del partito e occupato i locali della formazione islamica, partito che fin dal 2011 ha dettato l’agenda politica al paese diventando uno dei simboli principali della Tunisia odierna.

Simboli che si sono manifestati anche nell’eterna crisi economica che interessa Tunisi da anni, nelle rivendicazioni sociali del 2011 mai prese in considerazione, in una gestione catastrofica dell’emergenza sanitaria di Covid-19 e in uno scontro aperto con la presidenza della Repubblica. Tutti questi elementi hanno portato al 25 luglio e alle ore successive.

Quando, per esempio, nella notte tra domenica e lunedì il leader storico di Ennahda Rachid Ghannouchi ha provato in quanto presidente del parlamento a entrare nel suo ufficio al Bardo, in quel momento già presidiato dall’esercito. Gli stessi militari, inoltre, stanno assistendo da ieri agli scontri tra i sostenitori del presidente e quelli del partito islamico di fronte all’Assemblea.

Nel frattempo Saied aveva già convocato i vertici delle forze armate a palazzo di Cartagine; rilasciato un comunicato con cui dichiarava l’applicazione dell’articolo 80 della Costituzione per prendere tutte le misure necessarie per fare fronte a questa «situazione eccezionale»; fatto decadere il primo ministro Mechichi, suo vecchio alleato; preso su di sé gran parte delle funzioni governative. Tra 30 giorni esatti dovrebbe essere la corte costituzionale a sentenziare l’effettivo grado di eccezionalità della situazione. Unica cosa: la corte costituzionale non esiste.

Saied infine si è recato in avenue Bourguiba a Tunisi, teatro principale nel 2011 della Rivoluzione della dignità e della libertà, dove ha sede il ministero dell’Interno. Ad attenderlo un bagno di folla che ha accolto con estremo favore ciò che in molti hanno definito un chiaro «colpo di Stato».

Dalla strada – che ha anche assistito all’irruzione della polizia nei locali dell’emittente televisiva Al Jazeera – ora si è passati alle dichiarazioni di appoggio o condanna in quella che si sta trasformando in una partita a scacchi. Da una parte il fronte compatto di Ennahda, l’Ufficio del parlamento, diversi partiti di governo e opposizione, organizzazioni della società civile e molti costituzionalisti.

Dall’altra i sostenitori fedeli di Saied, che nel 2019 lo hanno votato in quanto volto nuovo della politica tunisina, e il sindacato più importante del Paese, l’Ugtt, dopo diverse ore di riflessione. A dieci anni dalla cacciata di Ben Ali, la Tunisia entra nella sua fase più incerta. A cominciare da un coprifuoco nazionale dalle 19 alle 6 imposto nella tarda giornata di ieri dal capo di Stato.