La tromba di Akinmusire per esplorare gli opposti
Ambrose Akinmusire
Visioni

La tromba di Akinmusire per esplorare gli opposti

Musica Un concerto ricco di pathos quello del trombettista afroamericano alla Casa del jazz di Roma
Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 9 luglio 2022

Ha quarant’anni Ambrose Akinmusire (diciannovenne era già nei Five Elements di Steve Coleman), quindici di carriera e cinque album per la Blue Note, ultimo l’acclamato On the Tender Spot of Every Calloused Moment. È molto vicino al movimento Black Lives Matter; si possono aggiungere «grants» e commissioni da parte di Doris Duke Foundation, MAP Fund, Kennedy Center, Berlin Jazz Festival e Monterey Jazz. Tutto questo, però, non dice niente del suono e della musica del trombettista afroamericano, ospite il 6 luglio con il suo formidabile quartetto (Fabian Almazan, al piano; Harish Raghavan al contrabbasso; Timothy Angulo alla batteria) al Summer Fest della Casa del Jazz.
La tromba di Akinmusire, infatti, è una tromba «perturbante»: il suo suono è ampiamente memore della lezione jazzistica ma non ne è schiavo. È un suono che buca, trafigge, porta oltre, trasfigura; è come sentire Dizzy Gillespie sì, ma negli anni quaranta. Di poche parole, carismatico, concentratissimo, il trombettista californiano ha tenuto inchiodato il pubblico romano con sei brani e, dopo tanti applausi, ha regalato due bis dal carattere opposto: il primo una sua rarefatta ballad, l’unica del concerto, mentre il secondo un pezzo ultracinetico, chiusosi su una sola nota ribattuta quasi all’infinito.
Ambrose Akinmusire usa strutture formali frastagliate, comunque ricche di pathos, in cui si concretizza l’urgenza della sua arte come l’impatto – fisico-ritmico-mentale – che vuole avere. I suoi temi, archi melodici molto ampi accanto a cellule ritmiche reiterate e quasi ipnotiche, restano impressi come i soli, intrecciati nel fitto interplay di un gruppo dove tutti i membri sono fondamentali: il piano liquido di Almazan, il contrabbasso spesso archettato di Raghavan, la batteria poliritmica (un Elvin Jones contemporaneo) di Angulo.

VOGLIAMO parlare del fraseggio? Pur avendo studiato molto e vinto prestigiosi premi (nel 2007 T.Monk International Jazz Competition e  Carmine Caruso International Jazz Trumpet Solo Competition) Akinmusire non è un virtuoso: modifica la velocità, usa pause e accenti, acciaccature, varia i timbri, impiega salti di registro, si serve in modo magistrale del fiato continuo. Soprattutto usa il silenzio e lo spazio in modo architettonico e monkiano. La sua è una tromba che squarcia e sfavilla come sa concentrarsi su una sola nota o un gruppo di note. Vuole (lo ha scritto per l’album Origami Harvest, 2018) «studiare gli estremi: il maschile e il femminile, l’arte in senso alto e quella più bassa, la passività e l’aggressività, l’improvvisazione e il calcolo, l’America ricca e quella dei ghetti, la musica hip hop e quella classica». E sa farlo con grande ispirazione.

PRIMA del trombettista di Oakland si è esibita con successo l’Orchestra Nazionale Jazz Giovani Talenti, diretta da Paolo Damiani. Le big band sono uno dei capisaldi del Summer Fest (il 4 ha suonato l’ottima Mejorchestra in un recital dedicato a Kurt Weill: voci di Peppe Servillo e Costanza Alegiani, direzione di Marco Tiso). La ONJGT è alla sua IV edizione in un progetto – promosso concretamente dalla Fondazione Musica per Roma – che vuole valorizzare i migliori nuovi professionisti del jazz italiano (quasi tutti under 35) attingendo alle segnalazioni del referendum di «Musica Jazz» e applicando la parità di genere. Si lavora, quindi, sull’ensemble, si creano spazi per i solisti come per la composizione (brani, tra gli altri di Sophia Tomelleri, Camilla Battaglia e del direttore Damiani), in un processo di crescita individuale e collettiva ben messo in mostra dal concerto. Nella formazione Battaglia, A.Drago, E,Manera, F. Fratini, F.Calcagno, M.Tino, Tomelleri, M.Fortunato, G.Zanus, F.Michisanti, N.Caputo e F. Remigi.

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