L’esternalizzazione al gruppo Bassilichi-Accenture dei 1.100 lavoratori del Monte dei Paschi addetti ai servizi contabili e amministrativi – il “back office” – chiude come peggio non si poteva una settimana decisiva per il destino del terzo gruppo bancario italiano. Trincerato dietro il facile, consueto slogan “non c’è alternativa”, e forte del placet di una Commissione europea preoccupata solo del cattivo esempio dato dagli aiuti di Stato (i Monti Bond, peraltro prestati a carissimo prezzo), il tandem Profumo-Viola è andato avanti come un rullo compressore. Fino ad asfaltare, con tutta probabilità, anche la stessa Fondazione Mps, espressione degli enti locali e primo azionista della banca con il 34%. Ma già pronto per essere mangiato in un sol boccone.

Con il cavallo di troia di una ricapitalizzazione da tre miliardi da attuare in tempi brevissimi, ancor più stretti di quelli richiesti dalla Ue, i nuovi azionisti di maggioranza del gruppo Mps saranno le grandi banche d’affari mondiali. Nel cosiddetto “consorzio di garanzia”, che ha già firmato un impegno a presottoscrivere l’aumento di capitale entro gennaio, ci sono Ubs, Commerzbank. Citigroup, Société Générale, Merrill Lynch, Morgan Stanley, Barclays e Jp Morgan, cui va aggiunta l’italiana Mediobanca. Per giunta la decisione del cda Mps di precorrere i tempi della ricapitalizzazione ha provocato l’ennesima batosta del titolo, che in una settimana ha perso il 20% del suo già scarso valore. Ieri era quotato 0,187 a piazza Affari, mentre gli analisti di Credit Suisse segnalavano un target price di 0,14 euro.

Per giustificare la loro strategia d’azione, i vertici di Rocca Salimbeni hanno agitato lo spettro di una Commissione Ue che si sarebbe tranquillizzata solo davanti a un rapido rimborso di gran parte dei Monti Bond. In aggiunta sia Profumo che Viola hanno continuato a sostenere che la strada alternativa del mancato rimborso, con la conseguente entrata del Tesoro nella compagine azionaria della banca, avrebbe allontanato per sempre il Monte dei Paschi da Siena. Come se la discesa in campo delle nove big della finanza mondiale non operi, nei fatti, lo stesso risultato.

Alle prese essa stessa con un piano di rientro dai debiti contratti per aver ciecamente sostenuto la banca, dilapidando un patrimonio miliardario, durante la gestione Mussari-Vigni, la Fondazione aveva chiesto più tempo per la ricapitalizzazione. Di qui la manifesta perplessità per l’accelerazione data da Rocca Salimbeni, anche se la parola decisiva arriverà solo nell’assemblea straordinaria fissata per il 27 dicembre. In parallelo la rigida e unilaterale applicazione di un piano industriale che prevede 8mila esuberi complessivi (3.800 già realizzati, comprendendo il back office), insieme al taglio di 550 filiali e la vendita delle controllate estere, ha convinto una volta di più la Fisac Cgil a dichiarare guerra aperta. La Confindustria locale chiede ufficialmente “di rivalutare tempi e modalità dell’aumento di capitale”, e così fa anche Sel. Mentre in Palazzo Pubblico, di fronte a un sindaco Valentini che molto critica ma nulla fa, arriva puntuale la domanda di Laura Vigni di Sinistra per Siena: “Il sindaco non pensa che possa essere meglio la nazionalizzazione, invece che una operazione di finanza speculativa internazionale?”.