Il movimento di massa in atto da quasi due mesi in Francia ha varie cose da dirci. Com’è noto, il motivo iniziale e principale della protesta è una legge che riduce ulteriormente i diritti dei lavoratori e ne aumenta la precarietà. Il punto di maggior contrasto è costituito dalla decisa spinta che la «Loi Travail» vuol dare alla contrattazione aziendale.

Non diversamente da quanto è avvenuto in altri paesi europei, in Francia quest’obbiettivo è stato perseguito anche in passato dal padronato, col deciso supporto dei governi di destra.

In particolare, la legge Fillon del 2004 stabiliva la possibilità di accordi aziendali stipulati in deroga a quanto previsto da quelli nazionali.

Ma, a questo proposito, occorre tener conto di due fattori. Il primo consiste nel fatto che il diritto del lavoro in Francia riconosce il principio per cui un accordo aziendale deve essere più favorevole ai lavoratori di quanto è previsto dal contratto nazionale di settore. E questo, a sua volta, non può essere meno favorevole del codice del lavoro. Sicché il tentativo di dare maggiore potere contrattuale ai datori di lavoro spostando il negoziato a livello aziendale va contro un principio non solo consolidato, ma giuridicamente formalizzato.

In secondo luogo, il tasso di sindacalizzazione, che oltralpe è piuttosto basso, trova compensazione nel fatto che circa il 90% dei lavoratori è tutelato dai contratti collettivi. Ed è quindi essenziale resistere su questo punto.

A questo va aggiunto un altro motivo di resistenza dovuto a nuove misure che, con il falso obiettivo di favorire l’inserimento nel mercato del lavoro, obbligano di fatto chi è in difficoltà ad accettare occupazioni poco appetibili e mal retribuite.

I francesi, che hanno già sperimentato gli effetti della “Grenelle Insertion” voluta da Sarkozy nel 2008, sanno bene che le analoghe misure imposte ora dal governo pseudo-socialista di Valls peggioreranno la competizione al ribasso nel mercato del lavoro. Ancora una volta, il risultato non può che essere l’aumento della precarietà.

Come non bastasse, la precarietà e mercificazione del lavoro, che ha già raggiunto punti limite, è addirittura generalizzata dal riconoscimento anche formale della libertà di licenziamento per motivi economici.

Il fatto che tutti e tre questi punti si riscontrino in forme anche più gravi nel Jobs Act italiano o negli ulteriori peggioramenti della legislazione sul lavoro varati da Cameron in Gran Bretagna, ma senza aver provocato reazioni massicce e persistenti come quelle cui stiamo assistendo in Francia pone alcuni interrogativi che meritano un’attenta riflessione.

Alla reazione contro la Loi Travail si sono aggiunti e intrecciati altri motivi di protesta, a cominciare da quello degli studenti.

Anche loro contestano le politiche neoliberiste e i tagli allo Stato sociale che, oltre a sanità e pensioni, tornano a colpire la scuola pubblica. In secondo luogo, pure in Francia si assiste ad un crescente divario tra i livelli di formazione raggiunti e le tipologie occupazionali cui è possibile accedere. Il che si connette con le difficoltà che i giovani incontrano nella ricerca del primo impiego e la prospettiva sempre più incombente di doversi adattare a lavori precari e sottoremunerati.

Certo, anche in altri paesi europei non sono mancati cicli di lotte che hanno affiancato lavoratori e studenti. Ma non c’è dubbio che in Francia tale alleanza è stata più persistente e si è riproposta con forza anche in anni recenti. Non si può dimenticare che proprio la spinta radicale di giovani e studenti ha costretto il governo di destra di Jean- Pierre Raffarin a ritirare il suo disegno di legge sul lavoro del 2003. Lo stesso è accaduto nel 2006, quando la protesta congiunta di studenti, lavoratori e sindacati ha obbligato il primo ministro Dominique de Villepin a rinunciare alla proposta di un “contratto di primo impiego”.

Quest’alleanza si ripropone oggi in nuove forme nel movimento Nuit Debout e si allarga ulteriormente collegandosi ad altri movimenti ed obiettivi di lotta.

Va sottolineato che non si tratta di un mero affiancamento di più soggetti sociali in lotta con obiettivi diversi e che trovano una solidarietà più o meno congiunturale. Il fatto rilevante consiste nell’individuazione di un nemico comune da battere. E non v’è esitazione nel riconoscerlo nei potentati economici, finanziari, tecno-militari e politici che esercitano uno strapotere senza precedenti nella maniera più parziale ed irresponsabile.

Si tratta, quindi di una trasversalità che connette più fronti di lotta. V’è la piena consapevolezza che le ragioni di crisi economica, malessere sociale, peggioramento dei sistemi di vita che si percepiscono più da vicino dipendono dagli stessi interessi e scelte dei gruppi dominanti che causano disastri ambientali, provocano guerre unilaterali e avventuriste, chiudono le frontiere a rifugiati e profughi.

È questa la trasversalità autentica e più significativa. Né si può dire che la mira è troppo alta. Da un lato, essa è coerente con l’analisi. Dall’altro, l’esperienza storica c’insegna che non ci si può proporre obiettivi di cambiamento effettivo, anche a breve, se non iscrivendoli in una prospettiva di mutamento più ampia e a lungo termine.

L’altro punto di forza di Nuit Debout consiste nell’auto-organizzazione. Da essa dipende la capacità di rigenerarsi e di trovare gli elementi di orientamento e di rotta al proprio interno. Non a caso, v’è il dichiarato rifiuto di una guida eteronoma e l’attenta difesa della propria autonomia.

Anche questo secondo aspetto contiene una sfida. L’auto-organizzazione, infatti, può mostrarsi efficace se si radica in ragioni profonde e tenaci di resistenza, se si nutre di una consapevolezza e volontà forte di cambiamento. A tali condizioni l’auto-organizzazione di un movimento può trovare anche forme nuove di consolidamento ed espressione politica.

Sono proprio questi due caratteri, della trasversalità e dell’auto-organizzazione, che consentono al movimento in atto in Francia di espandersi rapidamente e a macchia d’olio. Ed è su tali dinamiche e sulla loro capacità di dar corpo a nuove modalità di coalizione sociale ed azione politica che è utile riflettere da parte di quanti ritengono possibili risposte alternative alle tendenze di crisi del tardo capitalismo.