Yanis Varoufakis ha scelto la strada della trasparenza a proposito della trattativa in seno all’Eurogruppo che ha visto protagonista in questi giorni il suo paese e gli altri partner europei. Nelle ultime 72 ore twitter è stato il veicolo attraverso cui le posizioni del governo greco, espresse negli interventi dello stesso ministro delle finanze, hanno fatto il giro del mondo, consentendo ad analisti e semplici cittadini di avere un idea chiara sulla posta in gioco. Soprattutto, consentono adesso di valutare correttamente il contenuto della lettera inviata da Atene all’Eurogruppo, al riparo dalle aggiunte sensazionalistiche dei media mainstream su improbabili «passi indietro» che il nuovo governo guidato da Alexis Tsipras avrebbe compiuto di fronte all’irremovibilità dei tedeschi e dei loro alleati.

Nella lettera è stata solo ribadita la richiesta di proroga dell’assistenza finanziaria al paese fino al prossimo mese di agosto, per evitare un collasso delle finanze pubbliche, stante l’impossibilità della Grecia, in questo momento, di approvvigionarsi regolarmente sul mercato. In cambio del prolungamento degli aiuti, Atene si impegna a garantire una gestione oculata del proprio bilancio ed il conseguimento di surplus primari «adeguati», compatibilmente, però, col mandato elettorale ricevuto lo scorso 25 gennaio. «Vogliamo onorare i nostri impegni con i creditori – c’è scritto nella missiva – senza rinunciare a ripristinare le condizioni di vita di milioni di cittadini».

Invero, la questione, fin dall’inizio, ruota proprio intorno alla partita dell’avanzo primario, che secondo Atene dovrebbe mantenersi intorno all’1,5% del Pil, a fronte di un obiettivo fissato nel memorandum sottoscritto dai precedenti governi con la Troika del 3% per l’anno in corso e del 4,5% per il 2016. La differenza non è di poco conto: parliamo di 4-5 miliardi di euro che potrebbero essere destinati all’emergenza umanitaria in atto nel paese, anziché essere fagocitati dalla macchina del debito. Non dimentichiamo, peraltro, che la Grecia, dal lato dei conti pubblici, è stato il paese più «virtuoso» in questi anni in Europa: il suo deficit è ora al di sotto del 3% del Pil, rispetto al 15% del 2010, e il saldo strutturale di bilancio ha fatto registrare nell’anno appena conclusosi un avanzo del 1,6%. La domanda, tuttavia, rimane sempre la stressa: a quale prezzo? L’asimmetria che si è registrata in questi anni in Grecia tra «progressi» nel risanamento dei conti pubblici da un lato e fallimenti economici e disastri umanitari dall’altro dimostra che nel modello di Europa che si sta costruendo le persone contano meno di un decimale di deficit. Il che è tanto più scandaloso se si considera che per le banche si sia «stampata» (dal nulla, non ci sono riserve di altri materiali) in questi anni una quantità enorme di moneta, mentre per gli stati la «scarsità di moneta» è stata usata come arma di ricatto per imporre sacrifici immani alle popolazioni.