Catherine Dunne, tra le scrittrici irlandesi di maggior fortuna nel nostro paese, ci racconta la singolare vita editoriale del suo ultimo libro, Un terribile amore (traduzione di Ada Arduini, Guanda editore, pp. 398 euro 18), uscito in Italia nel maggio 2015, ma ancora non pubblicato in lingua inglese. Vedrà la luce nelle prossime settimane con il titolo The Years the Followed.

Il suo libro è uscito in italiano l’anno scorso, ma in inglese deve ancora esser pubblicato. Una situazione inusuale. Puoi raccontarci com’è andata?
La spiegazione è molto semplice, e si chiama programmazione. Non è la prima volta che accade: la forbice temporale di pubblicazione per il libro in lingua inglese è slittata di diversi mesi per una combinazione di circostanze, molte delle quali indipendenti da me. Il fatto di ritrovarmi inaspettatamente con dei mesi in più per rivedere il testo, mi ha permesso di riflettere su alcuni aspetti interessanti. Prima di tutto, ha confermato che – grazie, Leonardo da Vinci! – l’arte non è mai qualcosa di finito, ma semplicemente di abbandonato. In secondo luogo, che non è necessariamente una buona cosa per un romanziere avere troppo tempo per stare lì a limare… Ci sono volte in cui il primo istinto, di pancia, è quello giusto. Il tempo a disposizione e l’opportunità di rivisitare un testo che uno scrittore già considera il più possibile definitivo, fa emergere più domande di quante non trovino risposta. Ci sono pochissime differenze tra la versione inglese e quella italiana in questo caso – o meglio, poche che sopravvivranno al processo traduttivo. Tutti i cambiamenti hanno a che fare per lo più con il ritmo della frase in inglese, con l’aggiunta di un’espressione qua e là, quando capita, o magari l’esclusione di qualcosa che all’improvviso consideravo superfluo.
Tutti i libri in traduzione credo differiscano, per definizione, dagli originali. Ho un gran rispetto per il lavoro del traduttore letterario. Un lavoro che implica reimmaginare un testo, per molti versi riscriverlo; quindi la traduzione è nei fatti un’altra opera sotto molti aspetti. È importante, ovviamente, restare leali allo spirito e alla voce dell’originale – ma i cambiamenti sono una parte inevitabile del processo.

 

legge dublinerslt
Catherine Dunne mentre legge “Dubliners”

 

Questo libro è solo parzialmente ambientato in Irlanda; tuttavia, in gran parte ha luogo in un’altra piccola isola dai connotati postcoloniali, Cipro. La scelta di Cipro è stata dettata dalla sua situazione politica (la divisione dell’isola, la doppia identità etc…)? Se è così, ne ha esperienza diretta oppure il romanzo si basa su delle ricerche?

Poiché ero intenta a reimmaginare il mito greco (quello di Clitemnestra e di Agamennone), volevo che i miei luoghi abbracciassero uno scenario più ampio – in tutti i sensi – rispetto ai contesti che già conoscevo bene. Cipro era ideale: e proprio per le ragioni di cui lei parla. La divisione dell’isola, questioni di identità, un recente passato violento e relazioni complicate con un vicino maggiore, più forte. E poi, in primo luogo, il fatto che sia un’isola, con tutto ciò che questo implica su un piano psicologico e pratico: difficoltà di accesso, un senso di isolamento, un sentirsi in trappola, le complicazioni della partenza… tutto sembrava perfetto per la situazione emozionale di uno dei miei personaggi principali, Calista. Mentre scrivevo il romanzo sentivo il bisogno urgente di visitare sia Cipro che l’Estremadura. Mi sembrava importante esserci, sperimentare il tessuto della vita quotidiana, immergermi nel paesaggio e nella storia di entrambe le regioni. Ho così passato un paio di settimane a Cipro in compagnia di una guida entusiasta e ben informata – è stata un’esperienza magnifica. Poiché non parlo la lingua, era importante che ad accompagnarmi fosse un locale. In Spagna, invece, potevo girare da sola, anche se ho ricevuto l’assistenza preziosissima di un professore universitario di quelle parti.

Altri scrittori irlandesi (Banville ad esempio, ma è sempre più frequente con le nuove generazioni) preferiscono ambientare le loro storie all’estero. Crede sia un’altra versione dell’esilio letterario tipico di tanta letteratura irlandese moderna?

Non sono sicura si tratti di esilio – forse è più un desiderio di espandere i confini. E anche, magari, il fatto che ci si rende sempre più conto di come la realtà locale sia anche universale: abbiamo molte più cose in comune con gli altri esseri umani rispetto alle nazionalità e le ideologie che provano a tenerci separati.

Dopo esser fuggita dall’Irlanda, alla protagonista femminile capita di ritrovarsi in un’altra prigione. L’isolamento di Calista è quello delle donne in tanti contesti, geografici, sociali, politici e così via. Lei ha trattato questa tematica in altri romanzi in passato. Crede che la situazione sia cambiata, in Irlanda soprattutto per la secolarizzazione della società stessa (matrimoni gay, il ruolo non più centrale della chiesa…)?

È una questione molto ampia – potremmo parlarne a lungo. Certo è vero che la società irlandese è cambiata molto nel corso degli ultimi decenni, e in gran parte ciò è dovuto al declino del potere della Chiesa Cattolica. E anche a causa della crescita economica e della ricchezza. La Chiesa esercita maggiormente il proprio potere in contesti di povertà. Nonostante la crisi, gli standard di vita degli irlandesi, per le persone fortunate, sono migliorati negli ultimi anni, per quanto esistano ancora sacche di povertà, i senzatetto e soprattutto, un aumento spaventoso della miseria tra i più piccoli. La secolarizzazione, la crescita economica e l’istruzione sono tutte cose che giocano un ruolo nel ridurre l’isolamento delle donne – ma abbiamo ancora molta strada da fare. Diffido delle pacche sulle spalle che si stanno dando gli irlandesi per via della legalizzazione dei matrimoni gay, ad esempio – perché noi donne non abbiamo ancora alcun accesso legale e dignitoso all’aborto in questo paese. I nostri politici si rifiutano di prendere il toro per le corna – e si sono rifiutati di affrontare la questione per più di trent’anni, nonostante le critiche delle Nazioni Unite e le richieste di tante voci nel paese. La mancanza di volontà politica e l’assenza di una legislazione parlano chiaro sulla posizione difficile delle donne in Irlanda. L’equità salariale non è ancora una realtà. La violenza sulle donne ancora un problema reale. La cultura dello stupro è un problema reale.

Molti suoi libri hanno donne forti per protagonisti, e l’amore è quel che guida le loro azioni; ma si può sospettare che in questo romanzo la passione inneschi una trama che ha qualcosa del giallo, non crede?

Nel libro ci sono un paio di cadaveri, e questa cosa è tipica anche dei gialli! Ma al di là di questo, credo che le somiglianze più o meno scompaiano. Non m’interessa tanto il «come» dei gialli, o anche sapere chi sia il colpevole e come venga punito… Mi prende molto di più la ricerca delle motivazioni della vendetta. E ho un particolare interesse per l’analisi del ruolo della donna, quando è in parte «il cattivo», e in parte la vittima: credo risieda in questo la ricchezza che offre il mito antico a un romanziere. Cos’è che spingerebbe una donna a cercare vendetta? Quale sofferenza rende questa scelta inevitabile? E cosa accade dopo la vendetta? Comprendiamo davvero il monito di Confucio: «chiunque cerchi vendetta deve scavare due fosse»? Sebbene le storie antiche ci parlino di guerra, di conquista e di battaglie per il territorio, il nucleo fondante dei miti si basa sul significato dell’«essere umani». Amare, odiare, provare rabbia, il tradimento, l’abbandono. Comprendere che esistono cose per cui vale la pena vivere – e cose per cui vale la pena morire. In questo romanzo, ho cercato di esplorare quel che accade all’esistenza di una persona dopo aver preso una decisione presa – una scelta mal consigliata, impulsiva o romantica. Così tanto nella vita di Calista nasce dalla sua ignoranza, prima che il suo «io» venga a formarsi in maniera compiuta. Mi interessa sempre come le persone riescano a sopravvivere a questo tipo di decisioni, e in quale modo diano una svolta alle loro vite.