Montalban è un quartiere residenziale di classe media nel municipio Libertador di Caracas. E’ diviso in tre settori. In quello di Montalban III, più noto come Op51 si ergono le torri della Gran Mision Vivienda Venezuela (Gmvv): un capitolo del gigantesco piano di case popolari messo in atto dal governo socialista. Abitazioni gratuite e accessoriate per chi non ha reddito, con formule contributive ma sempre a basso costo per le altre fasce di popolazione. Finora ne sono state consegnate oltre 700.000. Alle prime luci dell’alba, la gente è per strada. Un migliaio di effettivi, tra militari e poliziotti, accompagnati da 8 magistrati del Ministerio Publico, ha fatto irruzione nelle torri. Alcune donne applaudono. Dall’altro lato del marciapiede c’è chi guarda a braccia conserte.

A metà giornata, Gustavo Gonzalez Lopez, ministro degli Interni Giustizia e Pace si rivolge poi ai giornalisti, fornisce il bilancio dell’operazione appena conclusa: 21 appartamenti recuperati, 26 colombiani arrestati, alcuni dei quali ricercati per gravi delitti, sequestro di armi, uniformi, droga, dollari e ingenti quantità di prodotti stoccati, pronti per essere venduti al mercato nero. «Siamo in presenza – dice – di un fenomeno simile a quello delle maras in Salvador, che si sono infiltrate qui con finalità politiche e che praticano il narcotraffico, l’estorsione e il sicariato».

La scena si ripete la settimana successiva, a fine luglio, nel centro di Caracas, nelle case popolari di Parque Carabobo: 12 persone arrestate, stessa tipologia di reati, merce sequestrata. Irruzioni analoghe proseguono in tutti gli stati del paese. Dal 13 luglio, il governo di Nicolas Maduro ha assunto così il problema dell’insicurezza. Per la campagna si è scelto un nome dalla forte carica simbolica: Olp, che sta per Operazione per la liberazione e la protezione del popolo. L’Olp – ha spiegato Maduro – non vuole essere una semplice operazione repressiva, ma un piano «integrale» ideato e approvato dalla popolazione a sua propria difesa. Ma il tema è spinoso e il paese discute.

Fra gli stand della Fiera del libro, lo storico Vladimir Acosta commenta: «Il Comandante Chavez sperava di redimere i delinquenti, ma sulla questione dell’insicurezza ci sono grossi interessi in campo. Il troppo ecumenismo stava diventando una trappola». E racconta il calvario di alcune famiglie, costrette a lasciare la casa popolare per la minaccia delle bande armate che prendono possesso dei quartieri. Bande di ragazzi che seguono le orme dei “pranes” – i giovani criminali che impongono il proprio controllo nelle carceri -, disposti a uccidere e a farsi uccidere per poco o niente pur di imitare quegli eroi negativi, che però vivono nel lusso e hanno potere.

L’insicurezza ha comunque matrici diverse e molti committenti. Il paese è al crocevia di grandi interessi, sia per i cartelli del narcotraffico, sia per quelli del contrabbando. Fare il pieno di benzina a un’automobile di grosso calibro, in Venezuela, costa meno di una bottiglia d’acqua. Nelle zone di frontiera con la Colombia, soprattutto nello stato Tachira, si traffica di tutto, in una catena di corruzione resa evidente dall’entità del contrabbando. Alcune cifre aiutano a capire: dallo scorso agosto, quando Maduro ha deciso di intensificare la lotta al contrabbando, nelle sole regioni di frontiera sono state recuperate oltre 18.000 tonnellate di prodotti, principalmente alimenti, ma anche cemento, rame e 800.000 litri di combustibile. L’altroieri sono stati bloccati diversi camion pieni di riso, che scarseggia negli scaffali dei negozi.

Prodotti sottratti ai supermercati sussidiati dal governo, e venduti al nero, all’interno del paese e fuori. Nella cittadina colombiana di Cucuta il traffico è sotto gli occhi di tutti. Imprese senza scrupoli o privati ricevono dollari a cambio agevolato dal governo chavista per importazioni fantasma o viaggi inesistenti: i soldi si smerciano a cielo aperto o in appositi uffici di cambio.

Dal Tachira sono partite le proteste violente dell’opposizione oltranzista, l’anno scorso. Il governo ha denunciato l’azione destabilizzante di paramilitari colombiani. L’ex sindaco di San Cristobal Daniel Ceballos, uno dei condannati per quei fatti, ha ora ottenuto gli arresti domiciliari, e la misura ha scatenato un putiferio nelle reti sociali. Anche durante tutti gli operativi dell’Olp, la presenza di colombiani con precedenti penali e con esperienza nell’esercito risulta costante. Maduro ha riassunto il lavoro di inchieste giudiziarie e giornalistiche: «Le bande criminali, cooptate dall’estrema destra si stanno militarizzando sul modello colombiano. E’ un processo che parte da lontano – ha detto – Dopo lo scioglimento delle bande paramilitari, l’ex presidente colombiano Alvaro Uribe ha inviato qui molte cellule “dormienti”, pronte all’azione».

E l’occasione sembra propizia in questo anno di elezioni che – secondo un rapporto del Pentagono – porterà caos e crisi economica. Una situazione simile – fatte le debite proporzioni storiche – a quella indotta nel Cile di Allende per distruggere la primavera socialista. Intanto, aumentano gli episodi di sicariato che vedono coinvolta la criminalità colombiana: dall’uccisione del giovane deputato Robert Serra, che indagava sulle violenze politiche dell’anno scorso, a quello del noto storico bolivariano Jorge Mier Hoffman, un altro assassinio su commissione.

E intanto, la pazienza del popolo venezuelano è messa a dura prova dalle lunghe code per rifornirsi di prodotti a basso costo, che si vendono a prezzi stellari a soli venti metri dalle catene sussidiate dal governo. Ci sono anche code nei ristoranti, dove una cena costa l’equivalente di tre salari minimi: un indice di quanto denaro circoli, comunque, nelle tasche di chi avversa il chavismo ma se ne serve per fare buoni affari. Le grandi imprese di distribuzione perturbano a proprio vantaggio l’economia di un paese ancora troppo dipendente dal petrolio. Bande criminali chiedono soldi per far entrare la gente in coda: altrimenti – racconta un’anziana – «si scostano la giacca, ti mostrano la pistola e ti fanno uscire dalla coda. Ho avuto paura di andare alla polizia».

Nonostante i programmi educativi e le università come la Unes, di stampo marxista e freiriano, la polizia è infatti ancora parte del problema e non della soluzione: «O siamo polizia o siamo delinquenti», ha detto senza mezzi termini il ministro Lopez durante un recente incontro all’Accademia militare. Lì si discuteva il Piano nazionale dei diritti umani 2015-2019, presentato al paese prima di essere approvato in parlamento, com’è consuetudine in Venezuela. Sono state invitate anche quelle Ong di opposizione che, come Provera o l’osservatorio Cofavic diffondono dati allarmistici sulle politiche per la sicurezza e accusano il governo di favorire l’impunità: salvo poi denunciare «violazioni dei diritti umani» se questi decide di usare la forza pubblica contro la delinquenza.

Ma anche dall’interno del chavismo in molti vedono il rischio di scorciatoie securitarie, che riporterebbero indietro la spinta ideale del socialismo bolivariano. Per un militante del Collettivo Lina Ron, il governo ha «subito il ricatto della destra, ha perseguito i collettivi che contendono il territorio alla criminalità e questa ha ripreso spazio». Tra le voci libertarie più autorevoli, quella di Antonio Gonzalez Plessmann, direttore del Centro studi sui Diritti umani, convivenza e sicurezza cittadina GisXXI. «A partire dal 2013 – spiega – il nostro centro accompagna la costruzione di progetti di autogoverno popolare e convivenza in diversi quartieri che la stampa considera preda della delinquenza. Lì i giovani non hanno fiducia nella polizia, da cui spesso vengono taglieggiati. Coinvolgendo i ragazzi nello sport, nei processi educativi, culturali, politici, offrendo trattamenti terapeutici per chi fa uso problematico delle droghe, siamo riusciti a disinnescare la violenza delle bande giovanili, che hanno deciso una tregua e hanno smesso di ammazzarsi fra loro. La via repressiva può portare più consenso ma costituisce una trappola”.

All’inizio di luglio, durante alcuni operativi nello stato di Miranda, dove governa l’ex candidato a presidente per la destra Henrique Capriles, la polizia ha usato la mano pesante, ha arrestato un centinaio di persone e abbattuto alcuni pluri-omicidi e ci sono state proteste. La linea di prevenzione “integrale” e il Movimento per la pace e la vita di cui fa parte Plessmann restano comunque assi portanti dell’Olp.

Nel Petare (stato Miranda), che è di opposizione, abbiamo partecipato a una seduta del Consiglio comunale (chavista) nella biblioteca di quartiere del municipio Sucre: la terza riunione fra rappresentanti delle istituzioni e la cittadinanza che abita nelle concentrazioni urbane di classe media. «Niente può cambiare senza la partecipazione popolare – ci ha detto Giovanni Martinez, coordinatore nazionale del Psuv della Commissione presidenziale per la sicurezza cittadina e la polizia popolare – Alla fine dell’anno scorso, il presidente Maduro ha deciso di sottoporre a revisione tutti i progetti sulla sicurezza e di raccogliere le nuove proposte dei quartieri. Ci stiamo riunendo con rappresentanti della chiesa, dei vigili urbani, degli insegnanti, per mettere a punto un programma di prevenzione integrale: con l’obiettivo di sviluppare l’autogoverno delle comuni, previsto dalla nostra Costituzione, e in cui è contemplata la formazione di milizie popolari e poliziotti comunali. Al registro, abbiamo già 1180 comuni, ma siamo ancora all’inizio».

Interviene Ivelia Malaven, responsabile nazionale della sottocommissione per la riforma della polizia: «Quello della delinquenza – dice – è un problema complesso che non si può risolvere con qualche correttivo, richiede tempo persino in un sistema avviato verso il socialismo come il nostro. E’ uno dei grandi mali del capitalismo, che si riflette anche da noi con l’incitamento al consumismo e l’imposizione di modelli negativi per i nostri giovani, indotti a credere che essere vincenti nella vita significhi possedere oggetti di lusso o di tecnologia avanzata. La sicurezza non è un problema di polizia, riguarda tutti. Occorre assumerlo in pieno, se non vogliamo finire come in Messico».