Sicché la loro presenza al parlamento di Strasburgo sarà plausibilmente molto più nutrita del 2014. Come sarà più forte il loro peso nella scelta dei membri della Commissione.

Questa prospettiva fornisce una sorta di megafono ai partiti che si autodefiniscono “moderati”, di centro, e perfino di centro sinistra. Per coloro che fanno riferimento al partito popolare europeo e che siedono accanto ad esponenti nettamente di destra, si prospetta un calo dell’ordine di 50 seggi (da 221 a 171). Per i becchini della socialdemocrazia europea, che però ne usurpano ancora il nome, il calo si prospetta altrettanto pesante (da 191 a 146). Tentando di evitare una sconfitta di tali proporzioni, si presentano come l’unico argine possibile contro i “sovranisti”.

Si pongono, allora, alcune domande su chi ha promosso interventi militari e alimentato conflitti interni pretestuosi quanto sanguinosi. E lo ha fatto nell’ennesima riproposizione di un soverchiante rapporto sviluppo-sottosviluppo. Va rinfrescata la memoria su chi si è reso responsabile di disastrose politiche neoliberiste, tanto a livello nazionale che comunitario. Politiche che, in termini economici, hanno portato alla crisi del 2008 e, persistendo ostinatamente sulla stessa strada, prospettano una stagnazione di cui non si vede la fine.

C’è chi sì è dimostrato indifferente o corresponsabile dei pesanti effetti sociali di quelle politiche, che hanno portato a netti peggioramenti nelle condizioni di lavoro e di vita della maggioranza della popolazione, e un allargamento a forbice delle diseguaglianze sociali. O, ancora, chi ha inseguito e cercato d’imitare proprio nazionalisti e xenofobi nella facile demagogia anti-migratoria, falsamente securitaria e addirittura primatista.

In realtà si tratta di un’ascia bipenne, strumento dello stesso blocco di potere dominante. Ed è stata proprio l’obbedienza agli interessi ed alle scelte di tale potere che ha spostato l’Unione europea sempre più lontano dagli ideali ed obiettivi che ne motivarono la costituzione. Uno spostamento tanto forte ed accentuato da provocare una aperta crisi di legittimazione istituzionale e politica.

Chi vuole un’Europa di pace e cooperazione tra i popoli. Un’Europa capace di rispettare e promuovere i diritti e la dignità delle persone, di tutte le persone, indipendentemente da differenze religiose, etnico-culturali, di genere, di pensiero, non può che porsi in una posizione decisamente antisistema. Il fatto che in tale posizione si trovino gruppi elettoralmente minoritari non deve trarre in inganno per due motivi tra loro connessi.

Intanto, la storia c’insegna che riforme religiose, rivoluzioni sociali, politiche, scientifiche sono sempre state frutto del pensiero e dell’iniziativa di piccoli gruppi che, in contrasto con i paradigmi dominanti, hanno innescato i mutamenti storici. Alcuni di loro hanno avuto subito largo consenso e seguito. Altri sono stati il seme di una coscienza collettiva più lenta a formarsi e perfino futura. In definitiva, essi hanno svolto nei punti di svolta dell’evoluzione socio-culturale la stessa funzione degli agenti mutanti nei passaggi critici e discontinui dell’evoluzione naturale.

Il secondo elemento è che anche oggi sono in atto movimenti alternativi al modo di funzionare di questo sistema. Non c’è che da guardarsi intorno: movimenti ecologici, pacifisti, di difesa dei diritti umani, di parità di genere. E sono movimenti radicali che attingono ad alti livelli di consapevolezza politica. Vere correnti di una nuova coscienza collettiva.

Oggi , come in passato, chi si propone come fautore del cambiamento deve interagire con questi movimenti favorendone l’incontro e la connessione.