La transizione energetica si farà nelle città, per le città e grazie alle città. Nelle città, perché sono le aree urbane del mondo – dove risiede il 55% dell’umanità – ad emettere il 75% delle emissioni che alterano il clima e avvelenano l’aria: è lì che c’è urgente bisogno di produrre energia rinnovabile, pulita, accessibile, a basso costo. Per le città, perché la qualità dell’ambiente delle metropoli finirà per determinare la qualità del loro sviluppo. Grazie alle città, perché le politiche più innovative per lo sviluppo delle rinnovabili nascono per lo più da esperienze messe a frutto nelle aree metropolitane per poi essere recepite dai governi centrali. Si tratta di una sfida più politica che tecnologica, dove contano più i municipi che i palazzi governativi.

SE TRANSIZIONE DEVE ESSERE, sarà necessariamente decentrata, distribuita, calibrata sui bisogni e sulle risorse dei territori. A fotografare lo status quo della transizione energetica nelle città del mondo è l’ampio studio Renewables in cities. 2021 Global status report pubblicato da Ren21, un network di circa 1.500 esperti di politiche energetiche appartenenti a governi, organizzazioni inter-governative e non governative, associazioni di industrie, istituzioni scientifiche e università, che da 155 paesi nei 5 continenti collezionano dati sulle politiche energetiche urbane: dalle stime, tali politiche sono aumentate di almeno 5 volte nel 2020.

SE L’UMANITA’ NON E’ ANCORA sulla strada per contenere l’aumento della temperatura sotto i 2°C come pattuito nell’Accordo sul Clima di Parigi, ci sono città che indicano strategie possibili verso modi diversi di produrre e distribuire energia, calore e forza motrice. Tra l’Unione Europea che si è data come obiettivo entro il 2030 il taglio del 55% delle emissioni rispetto al 1990, l’Italia che arranca con il suo Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (Pniec) ancora ferma ad un taglio del 40% delle emissioni, e la comunità scientifica che invece consiglia di arrivare al 2030 con un meno 65%, spiccano gli esempi di megalopoli, che, con la loro esperienza dimostrano che obiettivi ambiziosi sono già raggiungibili, con soluzioni innovative che creano anche lavoro e ripuliscono l’aria, senza nessun rimpianto per le fonti fossili.

NEL MONDO LE CITTA’ CHE SI SONO DATE un obiettivo di energia rinnovabile per i prossimi decenni sono 834 in 72 paesi (di queste, 357 sono in Europa, 350 nel Nord America, 51 in Asia, 32 in Sud America, 28 tra Africa e Medio Oriente, 16 in Oceania): ci vive un miliardo di persone, che rappresenta il 25% della popolazione urbana globale. A darsi l’obiettivo più ambizioso di «zero-emissioni» sono 796, mentre 163 hanno dis-investito in imprese di energia fossile. A dichiarare l’emergenza climatica, come chiedevano le piazze dei Fridays for Future, sono state per ora 1852 in 29 stati: di queste, solo 170 hanno anche un piano di azione per il clima, 128 hanno un piano con un target per le rinnovabili e solo 61 stanno già realizzando un piano climatico ed energetico.

AD AVERE UN RUOLO CHIAVE NELLA TRANSIZIONE energetica delle città sono i cittadini, sottolinea Renewables in cities. «La partecipazione stimola gli investimenti dei singoli e delle comunità nella generazione di energia rinnovabile – scrivono gli autori – ed è centrale per una transizione giusta ad un sistema energetico decarbonizzato che tiene in considerazione i bisogni delle comunità, affronta la povertà energetica e mitiga i cambiamenti climatici». I governi delle città, ovvero i sindaci, sono i più vicini ai cittadini e alle loro sollecitazioni, hanno la possibilità di includere nella progettazione, nella proprietà e nella gestione di sistemi energetici i loro cittadini come prosumer (produttori-consumatori), come proprietari di impianti di accumulo e protagonisti dello sviluppo delle fonti rinnovabili».

UN FENOMENO PARTICOLARMENTE INTERESSANTE di questa spinta dal basso è quello della ri-municipalizzazione dei servizi pubblici, che ha permesso di riportare sotto il controllo delle autorità locali i fornitori di energia elettrica e le reti. Il picco delle ri-municipalizzazioni a livello globale si è avuto nel 2016, ma il fenomeno non si è arrestato. Nel 2020 sono segnalati 1.408 casi, dei quali 369 riguardano impianti energetici. Iniziative che sono nate come «reazione ai deludenti risultati della privatizzazione nel settore dell’energia» e intraprese «per far progredire la penetrazione delle rinnovabili, oltre al raggiungimento di obiettivi più ampi, come crescita economica e re-industrializzazione».

LA CAPITALE INDISCUSSA della ri-municipalizzazione è Barcellona (1,6 milioni abitanti) dove il fornitore locale di energia di proprietà pubblica (Barcelona Energìa) acquista energia rinnovabile direttamente da produttori di piccola scala presenti nella sua regione e lo vende ai cittadini con Iva agevolata e tariffe favorevoli per i redditi più bassi. In Germania – qui i progetti di ri-publicizzazione sono 300 – c’è una città, Wolfhagen dove dal 2020 il fornitore di energia è il comune insieme con una cooperativa di cittadini che possiede il 25% delle quote. Meno brillanti le esperienze inglesi: la Robin Hood Energy di Nottingham e la Bristol Energy sono state vendute dai rispettivi comuni in seguito a problemi finanziari. Interessante anche l’esperienza di Hebron, in Palestina, dove la compagnia elettrica di proprietà della città sta diffondendo i pannelli fotovoltaici su tutti gli edifici municipali e nelle scuole per una capacità di 35MW.

LA FORMA DI PARTECIPAZIONE PER ECCELLENZA sono le comunità dell’energia, che fino ad ora si sono sviluppate per lo più in ambito rurale: il loro esordio nelle città, previsto a partire del 2020 in Europa, è stato rallentato dalla pandemia, e dovrebbe essere in ripresa. Per incentivare la diffusione delle rinnovabili nelle città non deve mancare l’inventiva: a Vienna, dove dal 2020 è obbligatoria l’installazione del fotovoltaico negli edifici residenziali, la utility del comune, Wien Energie, da nove anni installa pannelli fotovoltaici sugli edifici e poi offre ai cittadini l’opportunità di acquistarli per poi affittarli alla compagnia.

NEL MONDO C’E’ ANCHE CHI LE RINNOVABILI le utilizza già, ma cambia strategia. Succede in Brasile a Palmas City, capitale del Tocantins, dove il 97% dell’elettricità consumata in città proviene da una centrale idroelettrica che, a causa dei cambiamenti climatici, non offre certezze di stabilità per il futuro. Meglio affidarsi al sole, hanno pensato a Palmas: così dal 2015 la città offre incentivi per l’installazione del fotovoltaico in cambio di uno sconto dell’80% sulle tasse locali.

PER UTILIZZARE AL MEGLIO L’ENERGIA DEL VENTO e del sole servono sistemi di accumulo, ovvero, batterie che la rendano disponibile quando sole e vento non ci sono e per gestire al meglio picchi di produzione. Nella città di Oxford, in Inghilterra, dal 2020 è cominciata la costruzione dell’Energy Superhub Oxford (Eso), per un investimento di 50 milioni di euro: sarà un sistema di accumulo ibrido, uno dei più grandi d’Europa, con una capacità di 50 MW, utilizzato soprattutto per supportare la rete di ricarica dei veicoli elettrici e le pompe di calore per 300 abitazioni.

IL SISTEMA DI ACCUMULO PIU’ GRANDE AL MONDO è quello di Adelaide, chiamato South Australia’s Big Battery, creato nel 2017 con una capacità di 100MW a cui nel 2020 sono stati aggiunti 50 MW. Accumula l’energia prodotta da una centrale eolica da 316MW e alimenta servizi di rete per non perdere l’energia del vento.