I viaggiatori in attesa al binario 1 della stazione di Sulmona sono rannicchiati nei loro cappotti. Nell’Abruzzo interno, il freddo mattutino invernale sa essere particolarmente pungente. Intorno il paesaggio è cristallizzato dalla brina, rotto soltanto dallo sferragliare del treno in lontananza che raggiunge lentamente i passeggeri. La locomotiva alza al cielo un vistoso fumo ceruleo e subito si torna indietro di qualche decennio. Quella che fra qualche minuto partirà è la Transiberiana d’Italia, la Sulmona-Carpinone, una delle tratte più suggestive della rete ferroviaria italiana. Inaugurata al traffico nel 1897, la linea fu il risultato della necessità di unificare materialmente il Paese, sfidando in lungo l’Appennino, attraverso uno dei suoi tratti più impervi, sotto il severo sguardo della Maiella. Il tracciato fu reso possibile grazie ad un complesso di opere ingegneristiche calcolate al millimetro – ponti, gallerie, acquedotti, pinete antineve – che permettono ancora oggi ai treni di arrivare fino al punto altimetrico massimo, toccato alla stazione Rivisondoli-Pescocostanzo (1268 mt.), la seconda più alta della rete italiana.

COSTATA CENTO MILIONI DI LIRE DELL’EPOCA, la linea ebbe anche un costo in termini di vite umane. Il 23 dicembre 1891, duecento operai impegnati nella costruzione della ferrovia si avviarono a piedi da Cansano verso Sulmona con l’intento di festeggiare il Natale. Lungo il cammino furono colti da una bufera di neve e in venti persero la vita, mentre altri dovettero subire amputazioni degli arti. La neve dunque, croce e delizia di questa tratta, suggestiva all’inverosimile, capace di confondere gli altipiani abruzzesi con la steppa siberiana. Per decenni centinaia di uomini lavorarono su questo tratto montuoso per mantenere le linee attive, rimuovere neve e ghiaccio, controllare i tratti a rischio valanga, potare gli alberi e sorvegliare i passaggi a livello. Cantonieri e ferrovieri erano la grande anima di questa ferrovia ad alta intensità di lavoro umano. Del resto, lo sviluppo ferroviario cominciato a fine Ottocento collegò questo pezzo di Abruzzo, da sempre isolato dal rigido controllo delle montagne, con il resto del Paese.

UNO DEI PRIMI EFFETTI TANGIBILI FU la nascita di un nuovo gruppo sociale, la «classe dei lavoratori del trasporto su rotaia», che si andò ad inserire come un cuneo nel millenario equilibrio sociale fatto di lavoratori della terra e grandi proprietari terrieri. A Sulmona, in particolare, venivano trasferiti – quasi come fosse un confino – tutti quei ferrovieri attivi nelle associazioni mutualistiche e sindacali, i quali, ben presto, riversarono il loro fermento culturale su una popolazione analfabeta, organizzandola e stimolando all’aggregazione anche i lavoratori della terra, fino a quel momento estranei ai fenomeni di sindacalizzazione e politicizzazione.

In breve tempo i ferrovieri impiegati a Sulmona diedero vita a scuole popolari serali, circoli culturali, ricreativi e sportivi, giornali e cooperative edili e di consumo. Fondarono anche la locale sezione del Partito socialista italiano. Iniziarono a diffondere tra le masse popolari una cultura di classe che faceva riferimento alle idee repubblicane, socialiste e anarchiche. Già nel 1900, dopo la bufera reazionaria della fase crispina, che aveva sciolto le prime organizzazioni di categoria, a Sulmona risultarono attive una sezione del Sindacato operai ferroviari (Sof), una del Riscatto Ferroviario e, ben più numerosa, una sezione del Sindacato conduttori locomotive (Scl).

LE ORGANIZZAZIONI PRESERO PARTE A TUTTE le battaglie più importanti del periodo: la nazionalizzazione del servizio, il miglioramento dei salari e delle condizioni di lavoro, il diritto di sciopero, l’abolizione del precariato, gli investimenti in igiene, prevenzione e sicurezza, le pensioni. Nel 1903, la cittadina di Sulmona venne designata come sede nazionale del Sindacato conduttori locomotive; nel 1905 ospitò la redazione de La Locomotiva (1905-1906), quindicinale organo del sindacato della categoria; nel 1907, infine, dall’unificazione di tutti i sindacati e sodalizi ferroviari, nacque il Sindacato ferrovieri italiani (Sfi).

LA SEZIONE SULMONESE DELLO SFI FU LA PIÙ numerosa, la più combattiva e la più qualificata d’Abruzzo. Fu presente in tutte le vertenze, e anche in tutte le agitazioni politiche, che contraddistinguono l’età giolittiana e poi il biennio rosso. Tra i suoi dirigenti si distinse il macchinista Quirino Perfetto, segretario della Federazione anarchica abruzzese nel periodo 1920-22. La ferrovia diede grande impulso allo sviluppo economico del Paese. Le donne potevano recarsi nei centri più grandi per andare al mercato con più facilità, i contadini potevano raggiungere le proprie terre a bordo del treno.

In questo senso sono singolari le stazioni di Sant’Ilario del Sangro o Montalto di Rionero Sannitico che non hanno vie d’accesso, perché erano fermate per chi andava a lavorare la terra. Sui binari cominciarono a viaggiare anche tantissime merci, formaggi, legname, birra, mattoni, confetti, grano, anche se i treni merce più curiosi erano senz’altro quelli della transumanza, che una volta l’anno trasportavano mucche e pecore dagli alpeggi dell’Alto Sangro sino al Tavoliere delle Puglie e viceversa.

PER CERTI VERSI, QUELLE ROTAIE FURONO anche una condanna per queste Aree Interne, quando a partire furono migliaia di emigranti che una volta giunti a Napoli si imbarcavano su navi transoceaniche dai nomi altisonanti: California, Columbia, Belvedere. L’emigrazione, dall’unità d’Italia in poi, fu la costante di queste aree interne, un’emorragia che ancora oggi non ha fine e che la ferrovia non ha potuto che amaramente osservare.

DURANTE LA SECONDA GUERRA MONDIALE l’esercito nazista in ritirata distrusse gran parte del tracciato che tornò interamente percorribile solo nel 1960. Da quel momento, una dicitura iniziò a rimbombare per la linea, quasi come un’ossessione: «ramo secco». Iniziò così il lento declino della linea passeggeri, che fino a venticinque anni fa contava ancora fra le quindici e le venti corse giornaliere. Una serie di scelte sciagurate – orari sconvenienti, allungamenti ingiustificati ed incroci mal tracciati – deviarono gran parte del traffico da rotaia su gomma determinando il quasi abbandono del treno e la definitiva chiusura nel 2011.

SOLO GRAZIE AL TEMERARIO LAVORO dell’associazione leRotaie e alla collaborazione con Fondazione FS Italiane i treni sono potuti tornare a circolare sulla linea, questa volta sotto forma di treno storico e traversine, vagoni e locomotive, e hanno ripreso ad avere una loro influenza positiva su questa parte di Abruzzo interno, riportando un discreto flusso di turisti.

Ogni domenica un treno parte lungo la tratta della Transiberiana e le corse sono puntualmente sold out. Il viaggio si conclude col dormiveglia di un uomo che, superati gli altipiani innevati, fra un fugace sogno e l’altro gli è parso di sentir dire al capotreno: siamo in arrivo alla stazione di Vladivostok, ma era Roccaraso.