Il sistema mediatico incrementa il fenomeno dello styling, ma dimentica che la moda che regge al tempo è quella che declina le proprie idee, non quella che assembla le idee degli altri.

Davanti al suicidio di L’Wren Scott bisogna fare un passo indietro. È una scelta difficile e va rispettata. Ma non si può ignorare il segnale che manda, soprattutto a quel settore di cui L’Wren era l’espressione, e cioè a un sistema moda che prima ha prodotto il suo fenomeno e poi non l’ha saputo, o voluto, sorreggere. Un settore che sta mostrando tutto il proprio sfaldamento proprio attraverso la distruzione sistematica dei fenomeni effimeri che crea.

Il fenomeno di L’Wren Scott è quello delle personal stylist delle attrici che si trasformano in fashion designer e le cui linee durano il tempo che consente loro l’esposizione mediatica. L’Wren Scott è entrata nella moda con la professione più effimera possibile: modella. Subito dopo si è trasformata in stylist (cioè veste le modelle) per celebri fotografi (Herb Ritts, Mario Sorrenti) e allaccia contatti che la trasformano in personal stylist delle star di Hollywood, cioè è lei che decide cosa devono indossare le attrici sui red carpet. Soprattutto Nicole Kidman, di cui diventa l’ombra. Nel 2000 è nominata la prima direttrice artistica degli Academy Awards, cioè controlla l’immagine della cerimonia degli Oscar, e l’anno dopo è la compagna ufficiale di Mick Jagger. Hollywood Report la incorona regina delle stylist. Nel 2006 decide di fondare una linea con il proprio nome. Naturalmente, a indossare i suoi abiti sono le stesse clienti della sua attività di personal stylist, che diventano anche testimonial del suo prodotto. Decide di sfilare a Londra, piazza meno affollata di New York, Milano e Parigi, e ne diventa un nome di attrazione.

A febbraio, L’Wren annulla la sfilata due giorni prima della data prevista: la collezione non è pronta, dicono. In realtà la Scott non può pagare i fornitori. Oggi si sa che i debiti della LS ammontano tra i 5 e 7 milioni di dollari e che L’Wren stava per annunciare la chiusura della sua società. Non ce l’ha fatta, ha preferito togliersi la vita.

È la storia di un fallimento personale che mostra le crepe di un sistema. Sono molte le stylist da red carpet che hanno fondato una loro linea e la stampa americana propaganda le loro sfilate come il futuro della moda ma, dimentica di registrare che poi i loro abiti cadono nel dimenticatoio. Oggi le Fashion Week sono piene di marchi che esprimono fenomeni effimeri, funzionano come il mordi e fuggi del fatturato e dopo poche stagioni, esaurita la loro mediaticità, chiudono i battenti.

Ne sono vittima anche giovani designer che, spinti alla notorietà immediata, sfilano con quattro modelli di felpe e due di pantaloni replicati all’infinito. Colgono la tendenza del momento e dopo pochi anni falliscono, con conseguenze sempre poco innocue. E tutto perché molto spesso il sistema dimentica che lavorare nella moda è un mestiere serio.

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