Thomas Sankara aveva studiato in Madagascar. Diventato presidente del suo Burkina Faso (per quattro gloriosi anni, fino al suo assassinio il 15 ottobre 1987), fece di tutto per rinverdire il Sahel. Diceva: «Se potessimo portare qui un po’ del verde malgascio…».

Ma a decenni di distanza, il sud dell’Isola rossa – così chiamata per il suolo ricco di laterite e famosa per la biodiversità e la medicina verde -, vive una tragedia ambientale e umana che Alok Sharma, presidente della Cop26 sul clima in corso a Glasgow, ha definito «la prima carestia forse indotta direttamente dal cambiamento climatico». E secondo tutti i segnali, il paese sarà gravemente colpito anche in futuro, pur non avendo praticamente contribuito a creare l’emergenza clima.

«In alcune aree del Grand Sud non vedono piogge da otto o dieci anni. Il risultato è il kéré: essere affamati, nella lingua degli Antradoy, popolo che abita questa regione», spiegava settimane fa un servizio del media francofono Reporterre, accompagnato da foto eloquenti: famiglie che fuori dalle loro capanne si nutrono di tuberi, erbe selvatiche e succo di cactus – l’unica creatura verde rimasta nei paraggi; sfollati climatici inurbatisi sotto ripari di iuta nelle vie di Ambovombe, capoluogo della regione Androy.

«Il Madagascar non è coinvolto in guerre e conflitti, è un’isola in pace, eppure la sua situazione alimentare è definita “allarmante” dal Global Hunger Index» dice Marco Sassi, presidente del coordinamento Vim che riunisce molte associazioni attive nel paese africano. Uno dei progetti, sostenuti da Stand up for Life di Firenze, lavora proprio nel distretto di Ambovombe, con la Mensa della speranza e i Centri per il trattamento e la cura della malnutrizione severa.

Il Programma alimentare mondiale (Pam) parla di oltre un milione di persone in stato di sottonutrizione severa e di 14.000 a un passo dalla carestia nel Grand Sud, dove vive il 12% della popolazione. Famiglie contadine per le quali l’autosufficienza alimentare è ormai un ricordo sono costrette a dipendere dagli aiuti: «La situazione, già allarmante, è destinata a peggiorare entro la fine dell’anno. Un quarto dell’infanzia nei distretti di Ampanihy e Ambovombe è colpito da malnutrizione acuta. Il prossimo aprile, i bambini sotto i cinque anni in questa condizione potrebbero arrivare a 500.000 (…)».

L’ultimo decennio è stato il più caldo mai registrato nel paese. Precipitazioni scarse o assenti, temperature elevate, tempeste di sabbia. La prossima stagione di semina inizierà senza piogge. E siccome le disgrazie non vengono mai sole, secondo le previsioni centinaia di migliaia di ettari saranno visitati dal flagello biblico delle locuste. Oltre agli aiuti di emergenza, il Pam e il governo malgascio operano per l’adattamento da parte delle comunità, con progetti come l’accesso all’acqua, il rimboschimento, la stabilizzazione delle dune di sabbia e il sostegno economico mediante micro-assicurazioni in caso di fallimento del raccolto, per gli aderenti a cooperative di risparmio e prestito.

Davanti all’impatto dei cambiamenti climatici sul diritto umano al cibo e all’acqua in Madagascar, Amnesty International ha presentato il rapporto «Sarà troppo tardi per aiutarci quando saremo morti», un richiamo che va oltre il paese ed è un monito ad agire al più presto.

Agire a livello globale, ma anche regionale e locale. E qualcosa si muove. Nel mese di luglio il governo malgascio ha annunciato un piano con 141 progetti per il Grand Sud, nel settore idrico e igienico-sanitario, elettrico, infrastrutturale, compresi centri di riabilitazione nutrizionale e la produzione di integratori alimentari (ma occorre anche puntare sulla riscoperta di colture più nutrienti).

La situazione di emergenza è anche causata da una deforestazione imponente, perché l’assenza di evapotraspirazione dagli alberi limita le precipitazioni, e senza alberi frangivento le tempeste di sabbia seppelliscono i campi. Così, a Glasgow il presidente del Madagascar Andry Rajoelina è andato a proporre per il suo paese e per il continente una transizione basata sulle energie pulite, per lasciare alle spalle anche la deforestazione dovuta all’uso di legna da ardere a livello domestico. È un problema antico, non ancora risolto malgrado i tanti progetti di stufe migliorate e cucine solari.