Sofisticata commedia satirica svedese di Ruben Östlund già premiato con il gran premio della giuria per Forza maggiore (2014), il nuovo The Square gioca sul tema dei rischi della tolleranza, del politicamente corretto, della buona educazione, del basso profilo appannaggio di una classe colta e benestante e su diverse usanze di uno dei paesi considerati all’avanguardia in Europa.

Curatore di un museo di arte moderna Christian (l’attore danese Claes Bang (The Bridge), racchiude in sé tutte queste belle qualità: divorziato, si prende cura delle figlie e aiuta il prossimo ma non si rende conto di quello che succede fuori dalla sua cerchia, dal suo stesso quartiere. La nuova esposizione dal titolo «Square» (ispirata ad una autentica tenuta nel sud del paese) rappresenta un quadrato di pavè delimitato da un cordone luminoso a rappresentare la piazza come «santuario di fiducia e benevolenza» regno dell’altruismo, dove tutti hanno gli stessi diritti e doveri. La platea nordica si diverte parecchio a tutti gli inconvenienti che succedono a questo modello Mr. Hulot o Harold Lloyd che nulla può toccare nella sua impermeabile torre d’avorio. Nel momento in cui gli rubano con destrezza portafoglio e cellulare trova subito un rimedio perbene per recuperarli causando un mare di guai.

Nei paesi latini dove gli schemi non sono così rigidi, la tolleranza vacilla, il mutuo soccorso è abbastanza sottinteso, forse non arriva immediatamente l’umorismo di tutte le situazioni che si susseguono e l’ombra di Zalone aleggia parecchio nella mente dello spettatore italiano a concludere le gag, o quella di Sordi e delle visite ai musei nelle sue vacanze intelligenti. Così come è ben presente l’ombra di Max Weber a ricordare le incognite della piramide sociale.

Commedia che si muta in dramma con diverse frecciate rivolte alle esposizioni (mucchi di brecciolino, scimpanzè muniti di pennarello) culmina con una performance agghiacciante di un feroce danzatore russo che imita la «bestia» durante un pranzo di gala molto ufficiale. È un tema che serpeggia in più film, quello della borghesia minacciata, un altro feroce russo era nel film di Desplechin visto in apertura, un altro pranzo elegante interrotto in Happy end di Haneke: la borghesia delle buone maniere è messa di fronte a un incombente «altro».

Il film mostra come sia ai suoi ultimi sprazzi la buona educazione del secolo che tanta fatica ha fatto a farsi strada nel nostro continente, anche con i suoi lati insensati e i suoi sottotesti. Un po’ come quando finì l’etichetta di corte prima della rivoluzione francese. Film abbastanza bilanciato nel condurre azione e reazione, imprevedibile nel tracollo emotivo.