La preservazione di opere d’arte e di monumenti minacciati dal turismo di massa è uno dei temi attuali che più affligge i curatori e i direttori dei siti archeologici e dei musei. Come novelli soldati di eserciti senza armi, i turisti rappresentano un pericolo costante per la sopravvivenza delle opere d’arte non solo per il vandalismo (incisioni, scritte, furti, rotture accidentali o intenzionali di reperti, etc), ma soprattutto per le mutazioni repentine delle condizioni microclimatiche che un flusso consistente di persone apporta all’interno delle sale espositive. Umidità relativa, temperatura, radiazioni elettromagnetiche, flash delle macchine fotografiche, particelle di polvere, terriccio, sabbia alterano continuamente il delicato equilibrio in cui debbono essere mantenuti gli artefatti per essere conservati in modo idoneo. Il sovraccarico umano che si trovano a fronteggiare alcune ristrette aree culturali rischia di accorciare anzitempo la loro vita.

PER PRESERVARE queste particolarità culturali si sono messi in atto i progetti più disparati. In alcune realtà si è preferito limitare il flusso turistico definendo un numero chiuso di visitatori; in altre, invece, sono stati impostati filtri finanziari, aumentando (a volte a dismisura) i prezzi o le tasse di entrata in un determinato luogo. Altri ancora, infine, hanno individuato soluzioni alternative, «doppiando» quei siti che si sarebbero trovati in serio pericolo se visitati da orde di turisti. È il caso, della grotta di Lascaux, in Francia, chiusa al pubblico dal 1963, ma che dal 1983 è visitabile in una sua perfetta riproduzione.

Switzerland-Basel-Antikenmuseum-Egyptian exhibition-photo ©Piergiorgio Pescali (5)-1
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UN ESPERIMENTO SIMILE è in atto anche in Egitto, a cura della Theban Necropolis Preservation Initiative che dal 2009 sta lavorando per replicare alcune delle tombe più delicate della Valle dei Templi. Nel 2014 è stata completata la replica 3D del sepolcro di Tutankhamon e nel 2016 si è terminata la prima fase della ricostruzione del complesso monumentale di Seti I, faraone della XIX dinastia e padre di Ramesse II, vissuto tra il 1324 e il 1279 a.C.
Oggi due delle più famose camere mortuarie della tomba KV17, come è codificato il sito di Seti I, la Sala delle Bellezze e la Stanza dei Pilastri sono oggetto della mostra Scanning Seti – The Regeneration of a Pharaonic Tomb allestita all’Antikenmuseum di Basilea fino al 6 maggio 2018. Un progetto ambizioso appena agli inizi, ma che sta dando ottimi risultati sia per quanto riguarda la risposta del pubblico che della critica scientifica.

ARTEFICI DELLA MOSTRA e del programma, il cui scopo finale è la riproduzione del complesso da posizionare nella Valle dei Re, sono la Factum Foundation e l’università di Basilea. Tramite la scansione in laser 3D e fotogrammetria delle intere opere pittoriche e dei pochi artefatti ritrovati da Giovanni Battista Belzoni, l’esploratore italiano che nel 1817 riscoprì la tomba, si è creata una fedele copia delle due camere in mostra nell’Antikenmuseum. Accanto a queste, i visitatori possono ammirare statuette votive, iscrizioni, papiri e la riproduzione di alto e bassorilievi assieme al famoso sarcofago in alabastro di Seti I, uno dei pochissimi oggetti non trafugati dalla tomba ed oggi custodito nel Sir John Sloane’s Museum di Londra.

LA KV17 È DIVENTATA immediatamente famosa al mondo perché, oltre ad essere il complesso funerario più vasto della Valle dei Re (undici camere che si dipanano per una lunghezza totale di 137 metri), era anche una delle poche ad aver mantenuto intatti i cicli pittorici. Belzoni spese mesi a riprodurre su carta le rappresentazioni.
Oggi questi disegni sono in alcuni casi le uniche fonti di informazioni rimaste di come dovesse apparire la tomba ai suoi scopritori dopo che alcuni studiosi, esploratori, egittologi staccarono, nel XIX secolo, intere pareti per trasferirle in musei europei, dove ancora sono esposte (Louvre, l’Archeologico di Firenze e di Berlino). Altre opere vennero rovinate dai calchi fatti da successive spedizioni.
Quella dell’Antikenmuseum di Basilea rimane unica nel suo genere: è riuscita, grazie alle più sofisticate tecnologie scientifiche e alla collaborazione di istituti universitari, a far rinascere dalle proprie ceneri un monumento che altrimenti sarebbe andato perduto per sempre.