La «tigre tra le tigri» è in gabbia: Zhou Yongkang (nella foto Reuters), ex numero nove della nomenklatura cinese, ex zar della sicurezza e dato ancora in sella nell’ambito di tutta l’industria energetica nazionale, sarebbe agli arresti domiciliari. Si tratta della parziale conclusione di un giro di voci che da tempo scuote la politica cinese; un lento e costante flusso di eventi che sembravano portare proprio a lui, l’anima nera del decennio d’oro della Cina.
I dieci anni diretti da Hu Jintao e Wen Jiabao, se hanno visto la Cina crescere anche al 14 percento, sono anche stati contraddistinti da arresti, repressione, solido controllo su ogni forma di dissenso (con un premio Nobel in carcere e una rivoluzione – quella dei gelsomini pechinesi – arginata ancora prima che potesse muovere i suoi deboli passi). Il protagonista indiscusso di tutto questo è stato lui, Zhou Yongkang, a capo del potente apparato di sicurezza cinese, i cui budget nel corso degli ultimi dieci anni sono aumentati giorno dopo giorno. Si tratterebbe dell’arresto del funzionario più anziano, in tutta la storia della Repubblica Popolare, fin dalla sua fondazione nel 1949. Zhou aveva le mani in pasta nell’industria petrolifera, si dice la controllasse in toto ed era più di tutto, politicamente, l’alleato numero uno di Bo Xilai all’interno delle stanze che contavano a Pechino. Si dice sia stato l’unico dell’allora Commissione permanente dell’Ufficio Politico del Politburo cinese a votare contro l’epurazione di Bo. E – ancora peggio per Zhou – si è detto per mesi che proprio lui fosse alla guida di un clamoroso colpo di stato contro Xi Jinping.
Ad ora è a casa, controllato a vista – secondo fonti anonime della Reuters – e pronto a sottoporsi agli interrogatori dei suoi ex compagni di repressione. Le accuse sono di aver violato la disciplina del Partito, primo stadio verso un’epurazione che ormai appare quasi scontata. Ci sarà da capire se dopo la sua eliminazione, si procederà come al solito, ovvero attraverso una totale cascata di altri che verranno incriminati, fino a cancellare per sempre la base del potere di Zhou.
I segnali nei mesi scorsi erano arrivati tutti: «Xi ha tirato fuori tutti i denti della tigre», ha detto una fonte alla Reuters, riferendosi alla caduta proprio degli uomini di Zhou. Tra i più importanti, Jiang Jiemin, principale regolatore delle imprese statali, messo sotto inchiesta per gravi violazioni disciplinari. Jiang in precedenza era stato presidente della statale China National Petroleum Corp – la base di potere di Zhou Yongkang – così come una delle sue controllate, il colosso petrolifero e del gas PetroChina. Zhou invece era stato direttore generale della Cnpc dal 1996 al 1998. «Zhou Yongkang è una tigre ormai senza denti ed equivale a una tigre morta. La domanda è: Xi scuoierà la tigre?» si chiedono i cinesi. Infine, a fare presagire la caduta imminente di Zhou, era stato l’arresto di suo figlio, dato in stato di semi detenzione alla periferia di Pechino. Sposato con una sino americana, il figlio di Zhou vivrebbe stabilmente negli States, ma avrebbe accettato di tornare in patria per collaborare alle indagini che si riferirebbero proprio agli affari in seno alla PetroChina. Con questa mossa Xi Jinping sigilla ulteriormente la propria leadership, togliendo dalla scena uno di quei vecchi funzionari che avrebbero potuto recare fastidio al nuovo corso cinese, continuando a occupare posizioni economiche e politiche che forse l’attuale dirigenza, ha riservato ad altri, con lo scopo di mettere le basi per un decennio e più di colonizzazione delle posizioni chiavi di un Partito, che sembra sempre più assumere i connotati pieno dello Stato.