A dieci giorni dalla data fatidica, la campagna elettorale per le elezioni spagnole più importanti dalla fine della dittatura a oggi si sta arroventando.

Sondaggio dopo sondaggio, si fanno sempre più chiari alcuni elementi. Il primo: è definitivamente finita l’era del bipartitismo. Tranne Mariano Rajoy (che continua a considerare come suo interlocutore privilegiato il leader del Psoe Pedro Sánchez), gli altri leader di partito l’hanno accettato, e si stanno attrezzando, anche con messaggi fra le righe agli altri contendenti. Secondo punto: chi siederà alla Moncloa, la sede del governo, nel 2016 non è per niente chiaro, ma quasi sicuramente nonno Mariano non ci sarà, benché il Pp sia ancora dato come primo partito da tutti i sondaggi (con percentuali fra il 25 e il 30%). Sondaggi da prendere con le pinze come non mai: è la prima volta che ci sono cinque opzioni importanti, almeno tre delle quali con buone probabilità di combattere per il primo posto.

Lunedì notte più di 9 milioni di spagnoli (un record) ha ascoltato il primo dibattito televisivo a 4 in cui si fronteggiavano Sánchez, Pablo Iglesias di Podemos e Albert Rivera di Ciudadanos. Per il Pp invece di Mariano Rajoy, spaventato dal formato innovatore e timoroso dell’inevitabile accerchiamento a cui l’avrebbero sottoposto tre candidati più giovani e freschi di lui, ha mandato la sua giovane vicepresidente, Soraya Sáez de Santamaria, con due ottime scuse: era l’unica donna del dibattito e «il Pp è una squadra». Quanto ad Alberto Garzón, candidato di Izquierda Unida/Unidad Popular, è chiaramente vittima di una conventio ad excludendum: nelle elezioni del 2011 Izquierda Unida era il terzo partito, ma nessuno dei media li ha presi in considerazione per questi dibattiti. Garzón sostiene che è perché sono gli unici che sono davvero alternativi, tacciando gli altri quattro di «sfumature di grigio». Fatto sta che il «vincitore» sulle reti sociali lunedì notte è stato lui, con un suo tweet ironico «Vi piace il mio intervento? È la democrazia, che è a regime» (dove régimen in spagnolo vuol anche dire «dieta») che ha ricevuto 23mila retweet: un record per un politico.

A parte Garzón, le reti sociali danno per vincitore Iglesias, che nel suo minuto di appello al voto è stato il più efficace. Dopo lunedì, alcuni pensano che Podemos potrebbe fare meno male di quello che indicano i sondaggi (attorno al 15%). Per il resto, Sánchez è stato attaccato da destra da Ciudadanos (come parte del regime corrotto e corresponsabile del disastro) e da sinistra da Podemos («quando siete al governo fate cose diverse da quelle che dite in campagna»), nel chiaro tentativo (che riuscirà) di rosicchiargli voti, tanto che il giorno dopo in un comizio (sempre tra fedelissimi, come ormai tradizione in questo paese) ha alzato il tono elencando tutte le (buone) leggi approvate dal Psoe al governo, e gridando che «nessuno dà lezioni al Psoe».

Sáez de Santamaria evidentemente è stata attaccata da tutti, soprattutto sulla corruzione, ma ha usato la facile carta dell’inesperienza degli avversari: «avrei voluto vedere voi quattro anni fa». Rivera è stato meno brillante del suo solito: forse questo formato non gli permette di dare il meglio di sé, ma è chiaro che la destra dalla faccia pulita di Ciudadanos sarà la chiave di volta per il prossimo governo, vada come vada.

Anche se nessuno si sbilancia, si prospettano vari scenari. Il primo, al momento più probabile (e desiderato dalla maggior parte dell’establishment: non a caso Rivera è il candidato visto con più benevolenza dai commentatori politici) vede un bipartito Pp-Ciudadanos, con Rivera che chiederà la testa di Rajoy. E Sáez de Santamaria sembra la naturale candidata di questo governo. Il secondo, temutissimo da quest’ultima, è un tripartito Psoe-Ciudadanos-Podemos per cacciare il Pp: se i numeri sono quelli che si leggono, per evitare che il Pp rimanga alla Moncloa, è l’unica opzione. Ma tutto dipende da chi arriverà secondo, e soprattutto dalle trappole della legge elettorale. Proporzionale sulla carta, ma disegnata appositamente per favorire un bipartitismo asimmetrico e per dare molto peso ai partiti forti localmente. In molte comunità Podemos sì corre con Izquierda Unida e altri partiti locali: in Catalogna potrebbero addirittura arrivare primi. Tutti questi fattori rendono le previsioni molto incerte.