«Vedrò Renzi, parleremo del futuro della sinistra». Con quest’affermazione di Enrico Letta ci troviamo di fronte ad una delle tante manifestazioni tragico-comiche della miseria della politica. Renzi è la personificazione perfetta del ruolo dell’idios, il “proprio” il “privato” contrapposto alla politica come spazio pubblico tipico dello spirito della polis. Avventuriero politico con propensione alla commistione dell’etica pubblica con la non etica degli affari; di «cultura bambina» (A. Macchioro) e indole cialtronesca, utilizza la parola «sinistra» come una fiche da giocare sul tappeto verde dell’esercizio di un qualche potere. Ben altra personalità quella di Letta: ottima cultura nello specifico del rapporto teoria-pratica del diritto internazionale, abituato a pesare concetti e parole, con un percorso politico culturale di sostanziale coerenza.

Già nel 2007 Michele Salvati lo vede, insieme a Veltroni, come una delle possibili guide di un partito democratico per la rivoluzione liberale, sulla base del liberalismo di sinistra teorizzato da Giavazzi e Alesina. D’altronde Letta cresce culturalmente e politicamente con Andreatta e poi con Prodi, nel contesto della sinistra liberale democristiana: la cultura che negli anni Novanta è alla base della pratica istituzionale del neoliberismo italiano. Culture e pratiche neoliberali non statiche, oggetto di aggiustamenti necessari dopo le crisi degli ultimi anni, senza per questo perdere le caratteristiche sistemiche di fondo. L’itinerario scientifico-politico di Draghi è, al proposito, paradigmatico e quello di Letta, nella sostanza, vi coincide. Un insieme politico-culturale di tutto rispetto che l’avventuriero Renzi non riesce nemmeno a pensare. L’unico punto di contatto tra i due è la comune estraneità a quello che per un secolo e mezzo è stato il fondamento della sinistra: teoria e pratica critica delle diverse forme di accumulazione del capitale.

Certo parlare di «futuro della sinistra» è cosa alta e nobile, e l’enunciato ha, dal punto di vista propagandistico, notevole eleganza argomentativa. La pesantezza dei dati materiali, delle storie personali e delle storie delle forze politiche che i due esponenti rappresentano, però, non permettono, come del resto è effettivamente avvenuto, che di parlare della fattibilità o meno di una coalizione elettorale. Il «futuro della sinistra» per Letta e il PD, di Iv è meglio tacere, sta tutto dentro la costruenda alleanza che va da Calenda-Renzi a Fratoianni, In tale contesto l’unica serenità che la sinistra può assumere è quella causata dal rigor mortis. Infatti la partecipazione di una piccola frazione della sinistra a questo progetto strategico del PD, non può risolversi altro se non nella consueta e sperimentata pratica del «codismo». In tale contesto, come molti su questo giornale stanno ripetendo da tempo, il compito primario, di assoluta necessità per la sinistra, è la strada di un nuovo soggetto politico-sociale che, pur nelle forme oggi possibili, sia in grado di esprimere la sua completa autonomia culturale e politica.

Se da una parte il «codismo» è un ostacolo rilevante per il «futuro della sinistra», dall’altra lo è il settarismo. In particolare quel settarismo che considera impossibile intraprendere un processo unitario se non si parte dal metterne al centro la «contraddizione principale». E, guarda caso, la «contraddizione principale» è quella indicata dalla propria frazione. Si è sostenuto che l’impossibilità attuale di tale processo unitario che preveda in prospettiva una nuova forma-partito della sinistra non sia dovuto al caso, «bensì della mutata composizione di classe della società, delle forme digitali della comunicazione e delle tecnologie, del mutato ruolo di identità e ideologie, della crisi dell’organizzazione novecentesca in partito e altro ancora» (A. Garzia, ilmanifesto, 26 marzo). Tutto vero, certamente, ma stabilire un nesso sostanzialmente monodimensionale tra i due aspetti significa appiattirsi su una logica deterministica. I salti di qualità nell’innovazione organizzativa dei subalterni sono sempre stati il frutto di una intelligente combinazione di determinismo e volontarismo. Dove l’intelligenza sia guidata da quel forte senso di appartenenza, da quell’etica della politica che permette di superare le strettoie delle contingenze che favoriscono la diffusione ed il radicamento dell’idios.