Oltrepassata già da quattro anni la soglia eccezionale delle nozze d’oro, si rinnova ancora una volta il connubio tra il Teatro alla Scala e l’allestimento de La bohème che ha debuttato nel 1963 con la direzione musicale di Herbert von Karajan. Si tratta della ventunesima volta (l’ultima nel 2015) che le scene e la regia di Franco Zeffirelli (riprese da Marco Gandini), con i costumi del fido Piero Tosi (ripresi da Alberto Spiazzi), regalano la terza dimensione alle scènes de la vie de bohème che nel 1896 Luigi Illica e Giuseppe Giacosa hanno fotografato nel libretto (riduzione del romanzo e della pièce di Henri Murger di quasi cinquant’anni prima) poi messo in musica da Giacomo Puccini.

Insomma, un pezzo di storia scaligera: una Bohème – come l’Aida, sempre di Zeffirelli, sempre del 1963, che sarà ripresa l’anno prossimo – «agganciata alla tradizione scenografica ottocentesca», «un atto d’amore per un’idea tradizionale della messinscena operistica», che tenta di resuscitare «un mondo in una visione poetica, struggente, per gli effetti scenici, per il movimento delle masse, per le prospettive architettoniche dei fondali» (si pensi soprattutto al quadro secondo dell’atto primo), un esercizio di ricerca soprattutto scenografica (il vero campo di eccellenza di Zeffirelli) in grado di coniugare consapevolezza filologica e sbrigliata creatività, e di arrivare intatto ed efficace fino a noi.

Sul podio c’è Evelino Pidò, che ha mosso i primi passi proprio nell’orchestra scaligera e ora dirige nei più grandi teatri del mondo: la sua concertazione è coinvolgente, piena d’energia, sostenuta da un senso del ritmo e da un vitalismo che ritardano fin dove è possibile, attraverso un’attenzione commovente alle piccole cose (la stufa, la cuffietta, il manicotto ecc.) che si fanno dettagli musicali echeggiando Pascoli e preludendo a Gozzano, la vena tragica di un’opera che resta comunque la cronaca di una morte annunciata (la fine di Mimì è la variante proletaria e comunitaria di quella di Violetta).

Nella parte della protagonista, al suo debutto scaligero, c’è Sonya Yoncheva, che ha trionfato proprio come Mimì al Metropolitan nel 2014: la sua voce è timbricamente bella, omogenea dal grave all’acuto, tecnicamente solida, voluminosa, insomma una voce d’altri tempi, che fraseggia con generosa partecipazione e regala al personaggio una fisicità che sarebbe perfetta se solo ogni tanto qualche piano o pianissimo imbrigliasse e sfumasse il canto spiegato.

Nel ruolo di Rodolfo c’è l’inossidabile Fabio Sartori, che sfoggia sempre degli acuti maestosi e gareggia in bravura con il soprano, cercando a tratti di smorzare il suono e contenere la foga del personaggio. Bravi tutti gli altri comprimari: vezzosa al punto giusto la Musetta di Federica Lombardi, aitanti e a tratti irresistibili gli squattrinati Marcello (Simone Piazzola), Schaunard (Mattia Olivieri) e Colline (Carlo Colombara). Repliche fino al 14 luglio.