Isola di San Servolo, Venezia 27 aprile 2019. “Non è la bellezza che salverà il mondo, ma l’amore”, ha affermato Yann Arthus-Bertrand (Parigi 1946) mentre sullo schermo dell’auditorium di San Servolo scorrevano le immagini raccolte in quarant’anni d’attività. Il grande cuore di Voh, nella Nuova Caledonia, è più che un simbolo: dalla foresta di mangrovie ci spostiamo in Antartide, Rajastan, Tenerife, Nazca, Fez… Il mondo sembra ancora più bello visto dall’alto, inaspettato, inviolabile, incommensurabilmente lontano dai mali che lo stanno deteriorando. In occasione della II edizione di Venezia Photo, meeting internazionale di fotografia nato dalla collaborazione tra San Servolo srl e Les Rencontres d’Arles (tra i grandi protagonisti anche Paolo Roversi, Albert Watson, Ann Ray, Oliviero Toscani), il fotografo, reporter, regista e ambientalista ha raccontato anche il suo impegno con GoodPlanet, l’organizzazione non governativa di cui è presidente (l’ha fondata nel 2005) che ha la mission di educare al rispetto del pianeta, combattendo la deforestazione e supportando progetti tra cui ActionCarbone per la riduzione di gas a effetto serra. La sede è un piccolo castello nel Bois de Boulogne circondato da tre ettari di terreno dove si organizzano incontri, mostre, spettacoli musicali, atelier per bambini e anche lezioni di cucina. “Attraverso il cibo,” – spiega Arthus-Bertrand – è possibile parlare dei problemi del mondo come la povertà, i pesticidi, il lavoro delle donne, i prodotti a chilometro zero…”. Le fotografie di Yann Arthus-Bertrand (una selezione di La Terra vista dal cielo è esposta fino al 16 giugno anche al Castello di Postignano nell’ambito di Un castello all’orizzonte) con tutto il loro potere evocativo sono testimoni di quei cambiamenti di cui l’autore parla in maniera disincantata. “Tutta la nostra vita è basata sul lavoro per comprare l’appartamento, l’educazione dei nostri figli, l’automobile, il giornale, la radio, la televisione… consumiamo sempre. Non è possibile fermare la macchina. La tirannia del conforto è più facile. Voglio guardare il mondo con gli occhi aperti.”

Dalla mongolfiera all’aereo: in Kenya, nel 1976, quale fu l’elemento decisivo che la portò da un lato alla fotografia ambientalista e dall’altro alla scoperta della fotografia aerea, tanto da dar vita nel 1991 alla prima agenzia (Altitude) al mondo specializzata in questo settore?

Andai in Kenya per studiare i leoni. Non come fotografo, il mio approccio scientifico. Mia moglie Anne stava preparando una tesi di dottorato sul comportamento dei leoni. Lì ho capito che la fotografia documentava cose che non si potevano scrivere. Il leone è stato il mio insegnante di fotografia! Dai leoni ho imparato la bellezza, la pazienza, il rapporto con la natura, cose che mi seguono ancora oggi. Per guadagnare un po’ di soldi, poi, conducevo le mongolfiere. Quando si lavora sugli animali il territorio è molto importante. Proprio vedendolo dall’alto ho realizzato subito quanto fosse importante. La fotografia aerea mi è piaciuta così tanto che, quando sono rientrato in Francia, ho deciso di continuare in questo campo. Fotografare una città, per me, significa fotografare la natura. E’ come guardare dall’alto un formichiere nella foresta.

In altri contesti ha affermato di non credere nella rivoluzione per cambiare il mondo: politica, economica o scientifica. Qual è, allora, il mezzo più efficace per combattere uno dei più grandi miasmi della contemporaneità come il capitalismo, senza rischiare di scivolare nella retorica?

E’ la domanda più difficile! Perché non si può cambiare il sistema? Viviamo in un mondo che è basato sul capitalismo e sulla religione della crescita. Dobbiamo avere sempre di più. Tu cerchi di avere più lettori del giornale, lei più studenti al workshop, io più pubblico alle mie mostre e persone che leggono i miei libri. Per vivere abbiamo bisogno di tutto questo, però in questa religione della crescita c’è una contraddizione permanente. Continuiamo a fare cose, come mangiare la carne o prendere l’aereo, anche se non si dovrebbe. Non si può cambiare il sistema. La rivoluzione non sarà politica, perché abbiamo gli uomini politici che ci meritiamo. Nella democrazia tutti i politici coraggiosi non sono seguiti dagli elettori. La rivoluzione non sarà neanche economica perché l’economia è basata, appunto, sulla crescita e non ci può essere neppure una rivoluzione scientifica. Ogni giorno, infatti, si consumano 95 milioni di barili di petrolio e il consumo di carbone è aumentato rispetto a dieci anni fa. E’ troppo tardi anche per essere pessimisti. Abbiamo bisogno di azioni personali per poter accettare quello che sta succedendo e trovare una proposta alternativa. Ecco perché la rivoluzione può essere solo dentro di noi.

La bellezza salverà il mondo”, una delle più note frasi di Dostoevskij (da L’idiota) è anche il messaggio che ritroviamo nel suo progetto La Terre vue du Ciel (1994), realizzato con il patrocinio dell’UNESCO. Una collezione di vedute che testimoniano con uno sguardo inedito le meraviglie della terra. Venticinque anni dopo pensa che la bellezza sia ancora in grado di proteggere il patrimonio della collettività?

Non è la bellezza che salverà il mondo, ma l’amore per la natura che ci circonda e per gli esseri umani. Anche se in questo momento sono molto negativo rispetto alle politiche dell’ecologia. Mancano grandi uomini coraggiosi e onesti, figure come Gandhi. All’epoca in cui sono nato sulla terra eravamo 2 miliardi di persone, oggi siamo 7 miliardi. L’uomo consuma la terra e non c’è spazio per gli animali selvatici. Non siamo più in armonia con la natura.

Prima di venire a Venezia è stato nel sito di Al-‘Ula (Arabia Saudita), per girare il suo prossimo film. Nell’antica città nabatea di Hegra (patrimonio dell’umanità) immersa in un paesaggio desertico incontaminato sorgerà, come annunciato dalla Royal Commission for AlUla (RCU), un international summit center con un resort monumentale progettato da Jean Nouvel, destinato al turismo d’élite. Quali pensa che siano i limiti, o le potenzialità, di un progetto del genere?

Sto realizzando questo film per l’Institut du Monde Arabe di Parigi, in occasione di una grande mostra. Al-‘Ula riflette quella che chiamiamo la maledizione del petrolio che riguarda anche altri paesi come il Venezuela o l’Algeria. Ora, pensando al dopo petrolio, l’Arabia Saudita vuole aprire al turismo questo sito che è un po’ come Petra. Non si può fare nulla contro il turismo, Venezia, d’altronde, ne è l’esempio perfetto (mentre parliamo il profilo di una nave-mostro da crociera solca rapida le acque della laguna inghiottendo il paesaggio – ndR). Però, malgrado tutto, anche qui ci sono ancora scorci incontaminati dove stamattina ho scattato delle fotografie incredibili. Perché, allora, io dovrei essere privilegiato e non gli altri? Al-‘Ula, comunque, è un luogo straordinario dove oltre alle tombe incredibili scavate nella roccia ci sono anche le oasi con l’acqua in pieno deserto.

C’è una sottile sfumatura tra fotografo ambientalista e militante: in cosa è diverso il suo approccio rispetto, ad esempio, a quello di un altro grande fotografo umanista come Sebastião Salgado?

Abbiamo caratteri diversi, ma ci conosciamo bene e siamo molto amici. Io, forse, sono più attivista di lui perché vengo dal mondo degli animali. Salgado è più umanista ed economista. Litighiamo… (ride) perché lui mangia la carne – i brasiliani amano la carne! – mentre io ho smesso. Ci sono voluti dieci anni perché ci riuscissi, ma ora non la mangio più.

Nel suo website si parla di un database di oltre 2600 immagini. Che importanza ha per lei l’archivio, anche in relazione al ruolo della fotografia di documento che testimonia il cambiamento?

Sono molte più che 2600! Sto lavorando ad un nuovo film che si chiama Legacy, eredità. Attraverso tutte quelle immagini spiego come sono arrivato ad essere un attivista. La mia generazione è responsabile del mondo attuale con i grandi cambiamenti climatici e i finti accordi. Abbiamo creduto che sarebbe cambiato tutto, invece non è cambiato niente! Viviamo in un mondo in cui la banalità del male è dappertutto. La Francia è il paese dei diritti dell’uomo, ma è anche il terzo venditore di armi al mondo. E’ la più grande contraddizione. Parliamo di umanità e finiamo in questo modo. L’unica speranza sono i giovani, perché si mettono in gioco molto di più. Spero, dunque, che la piccola Greta possa avere il premio Nobel.