Cresce la febbre del pianeta e lo fa in modo rapido, diffuso e sempre più intenso, come non è mai accaduto negli ultimi 2000 anni, almeno. La colpa è dell’uomo e delle sue attività che impattano sul clima, non della natura, su questo non si discute, le prove scientifiche sono inequivocabili.

LA TEMPERATURA MEDIA globale è cresciuta di 1.1°C rispetto al periodo 1850-1990 e nei prossimi 20 anni sforerà il tetto di 1.5°C. Se non ci sarà un’immediata, rapida e su larga scala riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, limitare il riscaldamento globale tra 1.5° e 2°C, come negli intenti dell’Accordo di Parigi nel 2015, sarà fuori discussione.

LA PRIMA PARTE DEL SESTO Rapporto di valutazione dell’IPCC (Gruppo intergovernativo dell’Onu sul cambiamento climatico) è perentoria come non mai e lascia aperta una sola possibilità per stabilizzare il clima: arrivare a emissioni nette zero al più presto, entro il 2050, come il recente rapporto Iea ha dimostrato possibile, come è scritto nella visione politica del Green Deal della Commissione europea, se verrà davvero implementata. Purché lo facciano tutti, subito: ogni mezzo grado centigrado di aumento della temperatura fa aumentare la frequenza e l’intensità dei fenomeni avversi.

«PER IL CARBONE e i combustibili fossili il report IPCC suona come una campana a morto», ha commentato il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres. In questa ultima chiamata alla responsabilità, indirizzata alla comunità internazionale, gli scienziati IPCC indicano l’unica possibile via di uscita dalla crisi climatica, la decarbonizzazione spinta, ma avvisano anche che ci sono fenomeni innescati dall’aumento della temperatura globale che sono irreversibili, indipendentemente dall’andamento delle emissioni, come l’innalzamento dei mari, l’acidificazione e la perdita di ossigeno degli oceani, la fusione di ghiacciai e calotte polari.

IL REPORT, CHE CONTIENE le più aggiornate conoscenze scientifiche sul clima, si basa sugli studi di migliaia di ricercatori in tutto il mondo analizzati da centinaia di altri scienziati che per l’IPCC, su base volontaria e non retribuita, ne hanno fatto una valutazione complessiva. Climate Change 2021: the Physical Science Basis, questo il suo titolo, è stato presentato ieri a Ginevra, sede del segretariato IPCC, a meno di 80 giorni dall’inizio della COP26 di Glasgow, la conferenza mondiale sul clima per la quale costituirà uno strumento di lavoro imprescindibile. I dati che contiene sono già sui tavoli dei decisori politici, visto che il metodo di lavoro dell’IPCC prevede che i documenti che produce vengano approvati anche dai delegati dei governi. Le altre due parti del sesto Rapporto, dedicate ad adattamento e mitigazione, saranno pubblicate nel 2022.

«QUESTA VALUTAZIONE puramente scientifica della situazione climatica costringe a fare i conti con la realtà – è stato il commento della co-presidente del gruppo di lavoro di 234 studiosi che lo ha realizzato, l’esperta di paleoclima Valérie Masson-Delmotte – ora abbiamo una fotografia molto più chiara del passato, del presente e del futuro del clima, che è fondamentale per capire dove siamo diretti, cosa può essere fatto e come prepararci».

DI ALLARMI COME QUELLI lanciati ieri ne abbiamo già sentiti parecchi. Questo degli scienziati per l’IPCC risulta più forte e autorevole perché è il frutto di importanti avanzamenti avvenuti negli ultimi anni nella comprensione dei meccanismi che regolano il clima, non solo a livello globale ma anche, per la prima volta, per macro-aree. La fotografia dettagliata ci dice che i cambiamenti climatici non interessano in modo uniforme tutte le parti del globo: l’Artico si è scaldato più di altre zone della terra (tra pochi anni a settembre sarà completamente libero dai ghiacci), la superficie terrestre più della superficie del mare, l’emisfero settentrionale più di quello meridionale. Le precipitazioni aumentano nelle latitudini più alte, ai tropici e in larga parte delle zone monsoniche, mentre diminuiscono nelle fasce subtropicali. Le zone già calde e aride, come il Mediterraneo o il sud dell’Africa, diventeranno più calde e aride.

L’AUMENTO GENERALE della temperatura ha intensificato il ciclo dell’acqua e la sua variabilità che ha portato e porterà piogge più intense e localizzate associate ad alluvioni in alcune zone, mentre in altre provocherà siccità intensa, che metterà a rischio la possibilità di coltivare o la sopravvivenza di alcuni ecosistemi oppure creerà il fire weather (tempo del fuoco) definizione che descrive alla perfezione l’estate di incendi nel Mediterraneo.

DECISAMENTE IN PERICOLO le zone costiere di due terzi del mondo, esposte all’innalzamento inesorabile del livello dei mari che nei prossimi 30 anni salirà di ulteriori 10-25 cm. Gli effetti sulla biosfera sono già evidenti: molte specie stanno migrando verso i poli e verso altitudini maggiori, i pesci variano la direzione nelle migrazioni, il ciclo vegetativo delle piante si è modificato.

NELLE CITTA’, DOVE VIVE il 70% della popolazione mondiale, l’impatto dei cambiamenti climatici viene amplificato dalla geometria urbana, dall’altezza dei palazzi, dai materiali che assorbono calore, dalla carenza di aree verdi e di specchi d’acqua, fattori che determinano la formazione di isole di calore, dove le temperature possono superare di diversi gradi quelle medie regionali.

TRA LE NOVITA’ DA SEGNALARE in questo sesto Sesto report IPCC c’è la possibilità di consultare online un Atlante interattivo con numerosi dati a livello di macro-regioni, una lista di domande e risposte che chiariscono le dinamiche del clima anche ai non addetti ai lavori e soprattutto un linguaggio molto chiaro e comprensibile. «È nostra intenzioni migliorare la comunicazione e l’alfabetizzazione sulle questioni climatiche – ha sottolineato Masson-Delmotte – perché questi messaggi arrivino a tutti, dai teen-ager agli ingegneri, per agevolare ogni livello di azione e decisione».