In leggero anticipo rispetto all’arrivo della primavera è sbocciata la raccolta di idee ed esperienze La terra non è mai sporca, a cura di Carola Benedetto e Luciana Ciliento, già fondatrici del Gruppo del Cerchio, del festival Per sentieri e remiganti, nonché importatrici, in Italia, delle parole terrestri e della figura gentile di Pierre Rabhi, «il Gandhi della terra». Il titolo nasce da un’affermazione di Svamini Hamsananda Ghiri, monaca e membro dell’Unione Induista Italiana che anima l’ashram di Altare, nell’entroterra savonese: «La terra non è mai sporca, siamo noi che la sporchiamo con i nostri pensieri». E ancor più con le nostre azioni. Il volume offre la voce di ventuno esperienze. Vi sono scalatori, esploratori, agricoltori, artisti, stilisti, musicologi, appassionati di natura e paesaggio, conduttori televisivi, agroforestali, scrittori e umanisti di varia sfumatura. Un libro dunque che offre un caleidoscopio di chiavi d’interpretazione per andare a valutare quale che sia, e quale che possa essere, il rapporto oggi possibile, pensabile e praticabile, con quell’elemento fondante che chiamiamo terra. «La terra è di tutti» dice Rabhi, la terra consola, fianca, ammutolisce, travolge, ispira, e nutre. «Ci siamo messe in ascolto, abbiamo lasciato che la terra ci parlasse», precisano le curatrici. E dunque ascoltiamole queste voci, decifriamole.

Pierre Rabhi spiega cos’è l’agricoltura ecologica: «L’agricologia implica il pieno rispetto dell’ambiente, inteso come il peculiare insieme vegetale, animale e umano che lo costituisce, instaurando una relazione armonica tra uomini e la terra». L’obiettivo è quello, attraverso tecniche e strumenti semplici, essenziali, di portare le comunità ad una autosufficienza alimentare, anche e soprattutto in quei territori del pianeta colpiti da carestia e miseria. Una delle sfide più importanti che oggi l’uomo debba affrontare sul pianeta. Sveva Sagramola raccolta dei viaggi, del suo bisogno di radicarsi e al contempo di «lasciarsi cambiare» dalla ricchezza degli incontri e delle altre culture. Il funambolo Andrea Loreni racconta le sue esperienze, la sua formazione, e il suo avvicinamento alla pratica del buddismo zen. Paolo Marin descrive l’esperienza dei seminari che conduce in carcere, laddove avvicina i detenuti alla terra che educa e unisce e aiuta a liberarsi: «La terra è bassa per tutti e la fatica rende compagni». Forse non per sempre, e nemmeno tutti allo stesso modo ma è un’attività che andrebbe incentivata, quanto la meditazione, ad ogni occasione, nelle scuole, negli ospedali, nelle carceri. Roberto Moncalvo ci ricorda che un tempo gli anziani lasciavano la terra ai figli per garantire loro una forma di sicurezza, mentre oggi, in un buon numero di casi, si tratta di una scelta che si avvale anche di innovazione e creatività. L’indiano Jadav Payeng descrive come ha cresciuto, in quarant’anni, sulla maggiore isola fluviale del subcontinente, una foresta di 550 ettari. Tiziano Giardini invece ci racconta come le geometrie e gli elementi della natura – semi, foglie, insetti e quant’altro – abbiano costantemente ispirato la sua creatività sartoriale. Michelangelo Pistoletto spiega la genesi del suo celebre «infinito sdraiato», il Terzo Paradiso. Per ragioni di pratica spirituale il contributo che più mi è caro è quello delle due monache Swamini Ghiri, che scrivono della terra pensata, della terra pregata, della terra disciplina che conduce l’individuo alla devozione e al rispetto dell’ambiente che lo circonda.
Come di consueto, ottima è la fattura editoriale che connota i libri della Add di Torino, la copertina un trionfo di colori