Cari Bersani, Civati, Cuperlo e Fassina, vorrei avanzare una proposta seria, ancorché «indecente»: espandere il deficit di 2-3 punti percentuali di deficit per invertire l’indebolimento della domanda interna, che ci sta portando al collasso.

Partiamo dalle dichiarazioni del presidente della Commissione Juncker e di Weidman (presidente della Bundesbank). Il primo ha minacciato sanzioni «dolorose» se non obbediamo senza riserve alle regole del fiscal compact. Il secondo ha ribadito la sua posizione nota, per quanto smentita dai fatti, sull’inderogabile necessità di rigore fiscale. Cioè: obbedite, o saranno guai peggiori. Ma i guai peggiori sono già per strada
In questo momento solo negli Usa c’è crescita; ma neppure la Fed crede alla sua durata. Il Giappone è in recessione, il ritmo di crescita della Cina cala, e quindi quello di Brasile e Australia. Anche la Germania rallenta. E il quasi dimezzamento del prezzo del petrolio, avrà pesanti ripercussioni negative.

In questo quadro, l’azione del governo italiano non aiuta. Il decreto Poletti aumenta la precarietà in entrata fino a rischiare di farne praticamente l’unica forma in ingresso. E le misure annunciate di incentivazione all’assunzione, in un clima di domanda depressa, non creeranno occupazione netta. Il tutto, quindi, farà calare la massa salariale.

La sinistra Pd è stata sostanzialmente inefficace, ridotta a una politica di rincorsa dell’iniziativa politica renziana, limitandosi a emendamenti marginali, mai in grado di invertire il segno delle misure.

Quindi: primo, continuerà la caduta di domanda interna.

Secondo: ci vuole uno shock di domanda per fermarla.

Paradossalmente, proprio Alesina, l’autore della teoria dell’«austerità espansiva» a base del fiscal compact, suggerisce una soluzione, sostenendo, con Giavazzi, che siamo di fronte a una crisi di domanda, e che quindi c’è bisogno di uno stimolo quantificabile in 40 miliardi di euro. Ovviamente aggiuntivi al deficit.

Terzo: per aumentare il deficit oltre il 3 fino al 5 o al 6%, bisognerà affrontare uno scontro durissimo con Bruxelles. Inoltre, i due dicono che la domanda va spostata dal pubblico al privato. Bisogna, invece, aumentare la domanda pubblica, volano alla privata; che in recessione fatica a ripartire (anche avendo soldi).

Ma c’è un altro limite alla soluzione di Alesina e Giavazzi: è socialmente di destra. I 40 miliardi servirebbero a finanziare sgravi, che andrebbero maggiormente ai redditi alti e meno ai redditi bassi. Sgravi da recuperare poi con i soliti tagli sui redditi medio-bassi.

C’è anche un risvolto internazionale. Il nome di Alesina (docente a Harvard) lo suggerisce. Da tempo è in corso una violenta polemica tra Usa e autorità europee sull’austerità, fino al recente scontro aperto tra il presidente Obama e la Merkel. Anche quello tra Draghi e Weidman s’inserisce nel quadro. Come pure la recente presa di posizione franco-tedesca contro le clausole del Trattato Transatlantico.

La posizione della sinistra è difficile. Con Francia e Germania contro gli effetti sociali del Trattato, ma con gli Usa contro l’austerità è più facile a dirsi che a farsi.

Ma potrebbe essere l’unica strada. Avrà mai il coraggio la sinistra di rompere il tabù europeo del rigore; rispetto a cui ha pagato troppi prezzi di subalternità politica? Dicendo l’economia va rilanciata, punto. Con più spese, e sgravi, ma solo ai redditi bassi. E il recupero nell’immediato che sia redistributivo dall’alto verso il basso (e una vera patrimoniale sui capitali; vedi gli accordi con la Svizzera fatti da Usa e Germania); e successivamente basandosi sull’aumento di gettito dovuto alla ripresa.

Perché l’ipotesi che il Governo possa avanzare una variante della proposta di Alesina è sul tappeto. E sarebbe necessariamente una variante vicina alla filosofia di Bruxelles (e di Alesina). Il maggior deficit farebbe aumentare la disuguaglianza distributiva; e le grandi opere lascerebbero l’Italia in preda di tutte le emergenze territoriali di questi anni (alluvioni, crolli etc. etc.), senza contribuire un granché all’occupazione; e facendo ricadere successivamente l’onere dell’aggiustamento sui redditi medio bassi.

Ma se si vuole risollevare il paese bisogna invertire la crescita della disuguaglianza; e attuare opere diffuse a compensare la trascuratezza ormai ventennale del territorio: nessun faraonico Ponte di Messina, o simili, ma strade, ponti, scuole, manutenzione del patrimonio paesaggistico e artistico.

Se l’austerità ha prodotto danni, la terapia di Alesina aggiunge i danni della cura a quelli della malattia. Deve essere contrastata. Così facendo la sinistra potrebbe porre un problema politico che l’Europa non può rinviare: l’austerità uccide i paesi europei, l’euro e l’Europa. Perché l’Europa si salva salvando l’Italia. Dopo il ripetuto no europeo alla flessibilità, lo shock di spesa potrebbe essere l’unica carta a disposizione del nostro paese.

Non c’è più tempo. L’attendismo è suicida, per la sinistra e per il paese.