L’emendamento che scatena la rissa a Montecitorio parla chiaro: diffondere registrazioni o intercettazioni «rubate», cioè registrate di nascosto, costerà pene severe. Da sei mesi a quattro anni di galera. Lo presenta il deputato di Ap, componente Ncd, Alessandro Pagano. Lo approva la commissione giustizia della camera, impegnata in una incomprensibile corso contro il tempo per approvare prima della pausa estiva il ddl sul processo penale. All’interno del quale governo ha deciso di attribuirsi la delega sulle intercettazioni. Significa che su uno degli argomenti più complessi che ci siano, Renzi e i suoi ministri potranno decidere da soli, senza passare per il vaglio del parlamento.
La ciliegina sulla torta è l’emendamento Pagano. Non che il problema non esista: le registrazioni rubate sono una barbarie, e negli ultimi anni in Italia si sono diffuse a macchia d’olio, sono diventate un genere giornalistico in sé. Non il più specchiato e neppure il più encomiabile. Metterle in discussione è giusto. Risolvere l’aggrovigliato nodo con un colpo di manette invece non lo è affatto. L’emendamento Ncd ha una componente palesemente intimidatoria, resa ancora più odiosa dal fatto che arriva da quello stesso centrodestra che, quando alla sbarra ci sono i potenti, si sbraccia per garantirli quanto più possibile.

La reazione del M5S e di Sel è immediata ma diversificata. I pentastellati, che quanto a giustizialismo non sono secondi a nessuno, si sgolano. Sel protesta ma con maggior cautela. I deputati di Grillo invadono l’aula della commissione chiedendo in massa, come è loro pieno di diritto, di assistere. La presidente di commissione, Donatella Ferranti, Pd, quella che su disposizione del governo preme materialmente il piede sull’acceleratore, è costretta a spostare la riunione nella più capiente sala del Mappamondo.
Volano urla e denunce, per lo più rivolti alla conduzione spiccia della frettolosa presidente. Gli immancabili cartelli dicono «No al bavaglio». Ma qualche dubbio circola anche nel governo e nel Pd. «Ho perplessità e riserve di carattere generale», confessa pensoso il ministro Orlando. «In linea di massima – prosegue – sono contrario al carcere per violazione di informazioni. Vedremo il testo finale». «Nessuno vuole mettere il bavaglio ai giornalisti», duetta la presidente Ferranti, che sarà relatrice quando la legge arriverà in aula, lunedì prossimo. Tant’è vero che si dice persino disposta «a riflettere su piccoli aggiustamenti che possano servire a chiarire».
Il piccolo aggiustamento in questione lo annuncia, poche ore dopo, David Ermini, responsabile giustizia del Pd: «La norma tanto chiacchierata è chiara e di garanzia: si vuole impedire l’uso fraudolento delle registrazioni private. Presenteremo un emendamento per escludere esplicitamente dalla norma l’esercizio legittimo dell’attività professionale». L’assicurazione dovrebbe garantire una specie di salvacondotto per le tre trasmissioni che maggiormente adoperano a man bassa le registrazione rubate: Striscia la notizia, Le Iene e Report, anche se la formulazione è in realtà abbastanza tortuosa da lasciarsi aperta ogni strada. Tanto più che Ncd, determinante per la soravvivenza del governo, non sembra avere alcuna intenzione di lasciar perdere: «Si può discutere sulle sanzioni, ma che non si possano intercettare fraudolentemente e poi diffondere conversazioni tra privati è sacrosanto».
La questione è delicata, troppo per risolverla lasciando alle testate il diritto, discutibilissimo, di registrare e mandare in onda all’insaputa dell’interessato, e vietando le registrazioni negli altri casi. Non è affatto detto che la messa in onda sia di per sé più accettabile rispetto ad altre modalità d’uso. Occorrerebbe individuare altri e più complessi criteri: cosa impossibile data la fretta del governo.

In realtà, la correzione di rotta annunciata, sia pur fumosamente, da Ermini combacia con l’impostazione generale adottata dal governo: evitare che il parlamento affronti con la dovuta attenzione e con la necessaria profondità un tema così importante.
«È assurdo e molto grave – afferma il presidente dei deputati Sel Arturo Scotto – che su un tema così delicato e così divisivo, il parlamento non sia messo in condizione di discutere, tanto più che si tratta di un ddl e non di un decreto e che la fretta è assolutamente ingiustificata».