L’impresa è ardua. La manovra ha fin troppi capitoli ed è dominata a livello di risorse dalla copertura per impedire l’aumento dell’Iva, sebbene le clausole di salvaguardia per il 2021 saranno comunque di 18 miliardi. Sforzandosi però si riesce a coglierne l’aspetto più innovativo, almeno per milioni di contribuenti. Con l’ormai immancabile espressione inglese, il governo l’ha definita «Cashless».

IL «SENZA CONTANTE» PERÒ potrebbe rivelarsi una mezza rivoluzione culturale per gli italiani. Sembra infatti diventare realtà lo stereotipo dell’idraulico. Il proverbiale: «Sono 150 euro senza fattura, 200 con fattura». Il decreto fiscale prevederà infatti la deduzione delle spese tracciabili, il riconoscimento di un superbonus per i pagamenti in modalità elettronica. Un superbonus che, come recita il comunicato di Palazzo Chigi, sarà riconosciuto «del 2021 in relazione alle spese effettuate con strumenti di pagamento tracciabili nei settori in cui è ancora molto diffuso l’uso del contante». Si tratterebbe dunque di una restituzione di una quota tra il 10% e il 19% che dovrebbe arrivare direttamente sull’estratto conto del beneficiario.

Si parte quindi dalle spese tracciabili sostenute nel 2020 per alcune tipologie di servizi alla persona, come i piccoli interventi sulla casa o per la cura del corpo. E se la «rivoluzione» funzionasse potrebbe essere allargata a tutti i pagamenti commerciali.

IL SUPERBONUS VARRÀ 3 MILIARDI di euro e scatterà a partire dal 2021. Per il 2020 non è invece previsto alcuno stanziamento, mentre nel 2022 il superbonus sarà pari ad altri 2,8 miliardi. Le risorse limitate porteranno a fissare un tetto di spesa rimborsabile.

LA SECONDA GAMBA del «cashless» è quella più indigesta ai renziani che hanno fatto le barricate per impedirla. Si tratta della riduzione al tetto mensile dell’uso del contante dagli attuali 3 mila euro – alzati da «quota mille» dal governo Renzi nel 2016 – a 2 mila euro per il 2020 per tornare a 1.000 euro nel 2021. Il tutto togliendo i costi dei pagamenti con carta di credito ora imposti dalle banche e dai provider e prevedendo multe per gli esercenti che non accettino questo tipo di pagamenti. Come succede già in altri paesi europei poi arriverà con il decreto fiscale una lotteria con estrazioni e premi speciali sugli scontrini per le spese pagate con la carta di credito o il bancomat.

PER IL RESTO IL TESTO APPROVATO «salvo intese» – e dunque passabile di modifiche, prima di quelle ovvie che farà il parlamento – del Documento programmatico di bilancio (Dpb) cerca di venire incontro alle richieste dei sindacati ma con fin troppa gradualità. Le risorse per il taglio del cuneo fiscale sul lavoro sono state aumentate da 2,5 a 3 miliardi. I 500 milioni in più per il 2020 – che raddoppieranno a 6 miliardi nel 2021 e 2022 – non consentono però di far partire l’aumento dei salari già a gennaio: rimane l’idea di prevederlo dal mese di luglio per garantirne una consistenza sufficiente. La modalità di erogazione sarà oggetto di un ennesimo tavolo governo-sindacati non ancora convocato. Cgil, Cisl e Uil hanno posto due condizioni: la prima è che riguardi i redditi fino ai 35mila euro e dunque buona parte del ceto medio. L’altra è che diversamente dagli 80 euro del governo Renzi – che vengono erogati ogni mese ai redditi sotto i 26 mila euro – sia sotto forma di detrazioni e non di bonus.

ANCORA PIÙ INSODDISFATTI sono i pensionati. Nel Documento si confermano le briciole annunciate sulla rivalutazione degli assegni: l’aumento dal 97 al 100 per cento per lo scaglione di pensioni lorde da 1.522 a 2.029 euro (da tre a quattro volte la pensione sociale) vale circa 6 euro in più all’anno. E anche i 100 milioni in più per il Fondo nazionale per la non autosufficienza – che passerebbe dagli attuali 550 a 650 milioni – non basta a far cambiare idea a Spi Cgil, Fnp Cisl e Uilp: sabato 16 novembre saranno in piazza a Roma per chiedere che il parlamento dia loro ascolto.

GIUDIZIO SOSPESO da parte dei sindacati del pubblico impiego. Per il rinnovo dei contratti nel Documento si stanziano 3 miliardi e 175 milioni nel triennio 2019-2021. Per il 2020 il governo intende stanziare 1,4 miliardi che si aggiungono agli 1,8 miliardi già a bilancio per un totale di 3,2 miliardi. Cgil, Cisl e Uil ne chiedevano almeno 5.

I renziani invece si intestano l’inesistente Family act che in realtà è una razionalizzazione e semplificazione delle misure esistenti destinate alle famiglie. L’aumento di 600 milioni è la base per arrivare all’assegno unico per i figli.

NEGLI STANZIAMENTI RIENTRANO anche sconti per gli asili nido a partire da settembre, con l’azzeramento della retta per i redditi bassi, con soglia ancora da stabilire.

La cosa «più di sinistra» della manovra è certamente la cancellazione del superticket in sanità voluta dal ministro Roberto Speranza. Partirà dalla seconda metà del 2020 con uno stanziamento di poco più di 160 milioni di euro, mentre il Fondo sanitario nazionale aumenterà di 2 miliardi.

SI ARRICCHISCONO infine le detrazioni per le ristrutturazioni che partirono nel 2013. Viene introdotta per il 2020 una detrazione per la ristrutturazione delle facciate esterne degli edifici – il «bonus facciate» – per dare un nuovo volto alle nostre città.