L’assedio. La manovra a tenaglia di Conte e dei tanti che nel Pd non vogliono Draghi al Quirinale ha stretto Enrico Letta in un angolo. Per tutta la giornata di ieri ha aleggiato lo spettro di una clamorosa spaccatura dell’asse giallorosso, con Conte pronto a votare un candidato del centrodestra se Letta fosse rimasto su Draghi. Ma anche dentro il Pd le forze anti premier hanno lavorato per piegare il segretario: da Dario Franceschini a un pezzo degli ex renziani guidati da Luca Lotti a un pezzo di sinistra interna.

ALLA FINE DI UNA GIORNATA difficilissima il lungo vertice di fine pomeriggio con Conte, Letta e Speranza ha sancito una tregua: il capo grillino è stato rassicurato sull’archiviazione di Draghi. I tre leader, otre alla scontata (ma garbata) bocciatura della terna di centrodestra (Moratti, Pera, Nordio) hanno proposto agli avversari un «incontro tra due delegazioni ristrette», da tenersi presumibilmente entro oggi, per arrivare a una «soluzione condivisa su un nome super partes».

Una «mano tesa» nella consapevolezza che dal vertice ristretto potrebbe anche uscire una fumata nera. E che dunque, da giovedì, «bisogna prepararsi anche allo scontro in aula» se Salvini e soci tenteranno la spallata su un nome come Elisabetta Casellati. Pd, M5S e Leu si sono promessi di andare allo scontro eventuale con un nome condiviso anche con Renzi: potrebbe essere Andrea Riccardi, ma Iv frena. L’alternativa potrebbe essere non partecipare al voto.

IN QUESTE ORE IL MANTRA è trovare un accordo col centrodestra. «Abbiamo voluto evitare la guerra delle due rose, chiudiamoci dentro una stanza e buttiamo via la chiave, pane e acqua, fino a quando non troviamo una soluzione», dice Letta. «Acceleriamo il dialogo col centrodestra, non è il momento del muro contro muro», gli fa eco Conte.

I nomi che saranno proposti dai giallorossi- che hanno voluto evitare di contrapporre una loro rosa – sono quelli di Giuliano Amato, di Elisabetta Belloni e dell’ex ministra della Giustizia Paola Severino. Ma la novità di ieri è che i dem non escludono neppure un accordo su Pierferdinando Casini: un nome che piace a Franceschini, ma anche alla sinistra che vuole un sussulto della politica contro i tecnici. Per Letta chiudere su Casini non sarebbe una vittoria. Ma vista l’aria che tira sarebbe un onorevole pareggio. Ed è su questa prospettiva che lavorano i dem anti-Draghi.

CASINI PIACE MOLTISSIMO a Renzi, con cui Letta ha rialcciato i rapporti . Tanto che ieri mattina i due rivali hanno fatto muro comune contro l’ipotesi Franco Frattini, che aveva aleggiato lunedì nel vertice tra Conte e Salvini. «Italia viva non sosterrà candidati che non abbiano un chiaro profilo politico filoatlantico e europeista. Chi ha orecchie per intendere intenda», le parole del rottamatore. «Senza ombre di ambiguità nel rapporto con la Russia», rincara la responsabile esteri del Pd Lia Quartapelle, con chiaro al riferimento alle simpatie russofile di Frattini.

IN CASA PD NON SI DÀ per definitivo il veto di Salvini su Amato, che il leghista avrebbe espresso nel faccia a faccia con Letta di lunedì. E ci si domanda se davvero il leghista vorrà tentare il colpaccio su un nome dichiaratamente di centrodestra come Casellati. In quel caso, bisognerà aprire l’ombrello: perchè nel segreto dell’urna non è affatto escluso che la presidente del Senato peschi voti grillini, ex M5S e nell’area dei renziani dentro e fuori il Pd. Il Piano A comunque è convincere Salvini a tenere aperto il dialogo su un nome super partes. E questa sarà la partita di oggi.

Se ieri è stata la giornata in cui Letta e Renzi si sono un po’ riavvicinati, il rapporto tra il leader Pd e Conte invece ha subito un colpo. La settimana scorsa Letta aveva ottenuto dal capo del M5S, dopo una lunga riunione a casa Conte, una dichiarazione di non ostilità all’ipotesi Draghi, anche col supporto di Di Maio. E invece negli ultimi due-tre giorni l’avvocato del popolo ha riguadagnato terreno, giocando di sponda con Salvini per lasciare Draghi a palazzo Chigi. «Abbiamo affidato al timoniere una nave che è ancora in difficoltà, non ci sono le condizioni per cambiare», il sigillo di ieri del capo dei grillini. «Mi fido di lui, senza alcun dubbio», prova a chiudere l’incidente Letta.

IL SEGRETARIO DEM È MOLTO irritato anche con chi nel Pd ha remato contro (non solo Franceschini). E molto preoccupato per la tenuta del governo. Sa che Draghi potrebbe non reggere allo smacco, che senza un presidente della repubblica di alto profilo considererebbe finito il suo mandato al governo. «Rischiamo di perdere Draghi in tutti e due i ruoli, non ce lo possiamo permettere», il concetto (quasi un appello) che il capo dem ripete a tutti i suoi interlocutori. Ma, almeno per ora, la partita per portare SuperMario al Colle sembra chiusa. La speranza di Letta è sempre che alla fine, se Salvini andrà a sbattere su Casellati, si torni tutti a bussare a Mattarella.