Lo si era intuito fin dal mattino che ieri per il neo-presidente ucraino Zelensky sarebbe stata una giornata difficile. Appena atterrato a New York e prima di andare in visita alla comunità ucraina della Grande Mela e parlare davanti all’assemblea generale delle Nazioni unite, l’ex attore aveva in programma l’atteso incontro con Donald Trump.

Su quanto si sarebbero detti si erano fatte molte congetture ma i due uscendo dal colloquio durato meno di un’ora, tenevano le bocche cucite. O quasi.

«Si è trattato di un colloquio confidenziale» però si lasciava andare a dire l’ex-attore, il quale aggiungeva «di non aver comunque mai subito pressioni» da parte del presidente Usa per incastrate Joe Biden, il suo prossimo sfidante nelle presidenziali del 2020. Parole che nel proseguo della giornata forse si sarà pentito di essersi lasciato sfuggire.

CON LA PRATICA dell’impeachment formalmente aperta e la pressione dei democratici giunta oltre al livello di guardia, era Mike Pompeo a chiedere ufficialmente verso mezzogiorno a Zelensky l’autorizzazione a desecretare l’ormai colloquio telefonico del 25 luglio scorso tra i due capi di Stato. Una volta pubblicato, nel primo pomeriggio, il colloquio metteva in difficoltà – dimostrandone il dilettantismo e l’ipocrisia – in primo luogo proprio il leader di Kiev.

Nella telefonata a fronte della richiesta di Trump – già inoltrata qualche mese prima da Rudolph Giuliani – di riaprire l’inchiesta contro un magnate del gas ucraino in cui era coinvolto anche il figlio di Biden – Zelensky forniva ampie rassicurazioni al tycoon: «Dato che abbiamo ottenuto la maggioranza assoluta nel parlamento, il nuovo procuratore generale sarà un mio uomo al 100%… lui o lei controlleranno l’azienda che mi hai menzionato in questo caso…».

Era la promessa esplicita fatta a Trump, negata in mattinata di riaprire un caso da tempo archiviato per poter dar tempo a Trump di orchestrare una campagna contro il rivale, qualunque poi possa esserne la conclusione.

Tuttavia, malgrado questo passaggio della conversazione sia importante (quando si parla della prima potenza mondiale ogni sua questione interna è importante) la maggior fonte di imbarazzo per Zelensky viene dai suoi apprezzamenti poco lusinghieri per la politica europea nei confronti dello scontro russo-ucraino e in particolare riguardo l’«inettitudine» di Angela Merkel e Emmanuel Macron.

QUANDO NELLA TELEFONATA Trump accusa gli europei di «parlare tanto e fare ben poco per l’Ucraina», Zelensky replica così: «Hai ragione al 100%. Anzi ti posso dire che hai ragione al 1000%. e ti posso dire questo. Ho incontrato e ho parlato con Merkel. Ho incontrato anche Macron e gli ho detto che non stanno facendo abbastanza sanzioni (contro la Russia n.d.r.). Non le stanno accrescendo. Non stanno facendo quanto è nelle loro possibilità per l’Ucraina».

E SOTTOLINEA POI IL RUOLO americano nella difesa ucraina spingendosi a promettere al presidente Usa, l’acquisto nel prossimo futuro di altri missili Javelin per rafforzare l’esercito di un paese che come confesserà qualche ora dopo nel suo discorso al Palazzo di Vetro ha perso il 15% del Pil dal 2014 ad oggi e in cui il salario minimo è di 70 euro al mese. La pubblicazione del colloquio tra i due leader sta già avendo effetti devastanti.

Conferma il tentativo di Trump di screditare il suo avversario attraverso il figlio in chiave elettorale ma rischia anche di far deragliare la trattativa sul Donbass tra Russia Ucraina, Germania e Francia (il «Formato Normandia») che aveva fatto importanti passi avanti proprio nelle ultime settimane.