«Mi sembra difficile che ci siano le condizioni per evitare il ritorno alle urne nel caso il governo cadesse. Sarà il presidente Mattarella a fare le sue valutazioni, ma bisogna anche sapere che quando si verificano eventi del genere accade l’imponderabile» dice Roberto Fico nella veste di padrone di casa, alla camera, accogliendo una delegazione di giornalisti danesi in visita a Roma per capire cosa succede in Italia. «Credo che comunque tutto si risolverà in un senso o nell’altro nel giro di pochi giorni», dice ancora il presidente della camera.

IL CONTESTO È ISTITUZIONALE, sono dichiarazioni che hanno lo scopo di spiegare come funziona il sistema italiano e di restituire il clima del palazzo in giorni che Fico definisce «duri». Solo che mentre queste parole vengono pronunciate si gioca la partita sulla sopravvivenza del governo gialloverde, che investe proprio la questione dei tempi e quella dei possibili scenari alternativi.

DI MAIO CHIAMA SALVINI, che pure aveva deciso che ci sarebbero voluti quindici giorni per capire il destino dell’esecutivo, perché ha fretta di raffreddare le polveri e stringere sul ritrovato accordo. Che si basa, secondo quanto spiegano i suoi, ancora una volta sul rispetto del contratto di governo, appiglio per i grillini speranzosi di preservare gli equilibri che risalgono a prima del ribaltamento di forze delle elezioni europee.

L’ANNUNCIATA CONCORDIA, il compromesso sullo sblocca-cantieri e una semplice telefonata dai «toni amichevoli» hanno l’effetto di rasserenare soprattutto la nutrita pattuglia grillina, terrorizzata dalla chiusura anticipata della legislatura e dal ritorno alle urne: le simulazioni dei collegi coi dati attuali forniscono scenari apocalittici. Per questo Di Maio può permettersi di ostentare un ottimismo della volontà che forse non ha solide basi razionali ma di certo incrocia il sentimento degli eletti: fino a quando non si daranno scenari alternativi il capo politico può scommettere che la stragrande maggioranza di deputati e senatori lo seguiranno. Ieri, forse per la prima volta, i grillini hanno parlato come se nulla fosse della possibilità che verranno decise «modifiche alla squadra di governo», progetti che evidentemente non hanno affatto lo scopo di accrescere il potere contrattuale dei grillini dentro l’esecutivo. Ma proprio il terreno scivoloso sul quale ancora si muove la maggioranza ieri ha condotto il presidente Sergio Mattarella a chiedere a Di Maio di fare una scelta chiara in tempi rapidi, anche in vista delle complicate relazioni con l’Unione europea e a trattative che richiedono l’esistenza di un esecutivo con pieni poteri che si assuma precise responsabilità.

GIÀ, L’EUROPA. Ieri sono sbarcati a Bruxelles i quattordici eletti grillini. La loro collocazione dentro l’emiciclo del parlamento Ue è ancora del tutto indefinita, dopo che i Verdi hanno per l’ennesima volta sbattuto la porta a un M5S considerato stampella della «estrema destra» nel suo paese. Laura Ferrara, la grillina più votata nella circoscrizione sud, constata laconicamente che il sistema di alleanze continentali ipotizzato da Di Maio è uscito decimato dalle urne: «Rispetto alle previsioni, alla fine ci ritroviamo solo con un croato che è stato eletto e che è entrato nel parlamento europeo».

NON È L’UNICO PASSO FALSO del capo politico in questo scenario: delle cinque capolista scelte da Di Maio, senza passare per le primarie online, per rappresentare il M5S in Europa, solo due sono riuscite a farsi eleggere. Il che significa che gli elettori rimasti fedeli ai 5 stelle non hanno seguito in gran parte le indicazioni dei vertici. Ciò non ha impedito a Di Maio di scegliere personalmente la capo delegazione tra i parlamentari europei: è la piemontese Tiziana Beghin, che pure non risulta tra le più votate. «Non abbiamo nessuna intenzione di aderire al progetto ultranazionalista che stanno portando avanti i colleghi della Lega. Sicuramente il gruppo Enf e Salvini non sono un’opzione per noi, in Europa siamo ontologicamente diversi dalla Lega», ribadisce l’europarlamentare Fabio Massimo Castaldo. Se attorno allo scontro con l’Ue dovesse giocarsi il destino prossimo del governo, questo posizionamento non aiuterebbe la maggioranza.