Il baby premier e la ministra delle Riforme cantano vittoria, ma è solo esigenza di copione. Sanno perfettamente di non aver alcun motivo di letizia. Martedì notte, nella commissione Affari costituzionali del Senato, Berlusconi li ha prima spinti sull’orlo dell’abisso facendo passare l’odg Calderoli sulla riforma istituzionale, poi li ha salvati in extremis approvando con i suoi voti determinanti il testo base del governo. I due documenti dicono cose opposte, ma non è un problema. E’ la politica italiana: incorreggibile. Prova più inoppugnabile dell’impossibilità, per il velocista, di procedere senza il beneplacito di Arcore non poteva darsi.

E’ improbabile che un simile capolavoro di raffinatezza politica sia stato partorito da Silvio il Regista. «C’è stata una pressione fortissima per farci votare», racconta lui stesso. Lui, in effetti, avrebbe affondato anche il testo base, per dimostrare con massima brutalità chi è che dà le carte a palazzo Madama. Ma dopo l’approvazione dell’odg del padre del Porcellum, resa tanto più cocente dall’incauta sfida di Maria Elena Boschi («Non la diamo vinta a Calderoli»), Renzi si è attaccato al telefono e ha convinto Berlusconi, sia minacciando una crisi in questo momento lontanissima dai desideri dell’ex cavaliere, sia promettendo di rivedere il testo dopo le elezioni. Del resto, se anche puntasse i piedi, i numeri stanno tutti dalla parte dell’attempato «padre della Patria», tanto in aula quanto in commissione. Così, un attimo prima del voto, Boschi ha prima parlato al telefonino con Berlusconi e poi lo ha direttamente passato al capogruppo Romani, prontamente intervenuto sui suoi commissari azzurri. Quattro si sono adeguati al nuovo ordine, due (Minzolini e Giovanni Mauro del Gal) hanno votato contro il testo del governo.

Sul fatto che, un attimo dopo la chiusura delle urne, Berlusconi passi all’incasso ci sono pochi dubbi. Resta da vedere come vorrà farlo. Già martedì aveva alluso a un possibile ingresso nella maggioranza di Fi, salvo poi ritrattare. Ieri ha di nuovo precisato: «Ho solo detto che se si verificasse una situazione catastrofica noi ci comporteremmo da opposizione responsabile». Con gli attuali e noti chiari di luna sui fronti dell’occupazione, dei conti pubblici e delle riforme, una «situazione catastrofica» la si trova, solo a volerla vedere, dietro ogni angolo.

In realtà, però, più che l’entrata nella maggioranza sotto forma di appoggio esterno o direttamente nel governo, quel che preme al capo forzista è mettere il cappello sulle riforme, sin qui cavallo di battaglia del solo Renzi. C’è un unico modo per farlo: reclamare l’inserimento anche della forma di governo nell’agenda delle cosette da rivedere in Costituzione. In soldoni il presidenzialismo o almeno l’elezione diretta del premier. Se poi, su questa base, converrà chiedere anche una partecipazione alla maggioranza (della quale Renzi non sarebbe affatto contento) lo si vedrà solo dopo le elezioni. E’ lo stesso Berlusconi a indicare tra le righe questa strategia quando afferma, per giustificare il semaforo verde di martedì notte, che in questo modo «è stato avviato il percorso delle riforme che avevamo proposto noi nel 2005». E che certo non si limitava alla derubricazione del Senato a dopolavoro per sindaci.
Se però l’ambizioso disegno si rivelasse impraticabile, vuoi perché gli elettori bastoneranno il partito azzurro, vuoi perché Renzi dovesse considerare un più stretto abbraccio col reprobo esiziale, Berlusconi cercherebbe probabilmente il modo per arrivare alle elezioni col consultellum. Gli garantirebbe comunque la partecipazione a un governo di larghe intese nella prossima legislatura. Con quale candidato? Ufficialmente si dovrebbe ormai parlare senza remore di Marina l’erede. Incoronata dalle primarie («Se le tiro la volata io asfaltiamo tutti», spiega ruvido papà) e magari con la sceneggiata del padre preoccupato che subisce la scelta. Ma non è detto che debba andare così. Dipenderà dalle circostanze, perché per Silvio Berlusconi esiste un solo candidato credibile: Berlusconi Silvio.