Una proposta completamente alternativa sul futuro dell’Ilva, dirompente per alcuni versi. Che si oppone a quella messa in piedi dal governo con il decreto attualmente in discussione alla Camera: l’hanno avanzata ieri i Cinquestelle, e prevede un netto ridimensionamento del siderurgico in Italia, con il mantenimento sostanziale di tutti i siti oggi esistenti – da Cornigliano a Novi Ligure (ma solo nel caso che siano ecosostenibili e graditi alle popolazioni circostanti) – e la chiusura e bonifica dei forni presenti invece a Taranto. Niente “rilancio” dell’acciaio in Puglia, dunque, ma l’utilizzo degli 1,2 miliardi sequestrati ai Riva, di parte dei proventi della vendita del gruppo e dei fondi europei per cambiare radicalmente il volto della città salentina.

La proposta è venuta dai deputati e senatori delle Commissioni Ambiente e Attività produttive, accompagnati da un gruppo di operai del «Comitato cittadini e lavoratori liberi e pensanti» di Taranto, e dall’attore Michele Riondino, impegnato da anni nella valorizzazione della sua città (sua l’organizzazione del concerto del primo maggio alternativo a quello romano). Il deputato Davide Crippa ha elencato i difetti del nuovo decreto del governo: «Siamo già al decimo, di cui otto legati a questo esecutivo, che ha completamente fallito sul piano industriale. Non vengono messi vincoli e paletti per evitare una vendita a spezzatino, con la costituzione di una bad e di una good company: Potrebbe acquistare un competitore, che poi tra qualche anno magari chiude. L’Aia è stata di nuovo prorogata, al 2017, e il bando per la manifestazione di interesse è stato pubblicato prima del voto del Parlamento». «No alla cordata con Marcegaglia e dietro i progetti dell’Eni – insomma – Perché non cambierebbe nulla rispetto a oggi».

Secondo Alberto Zolezzi, l’Ilva di Taranto è diventata ormai «una fabbrica che produce tanto acciaio quante scorie inquinanti, perdendo 40-50 milioni di euro al mese, e non avendo incrementato il lavoro nella città pugliese, con la disoccupazione che resta al 40%». Spostare i rifiuti in treno, dal Sud al Nord, «ha alimentato un traffico tossico e poco controllato, mentre dentro gli stabilimenti sono ancora presenti mezzo milione di tonnellate di amianto mai bonificato, oltre a 18 mila fusti di scorie radioattive oggi stoccati alla ex Cemerad di Statte».

L’alternativa, tracciata dal senatore Carlo Martelli, è quella di «avviare un grande piano di bonifiche, che non vuol dire affatto, come qualcuno può pensare, una soluzione di ripiego o transitoria: si calcola che si potrebbe lavorare anche per decine di anni, e verrebbero occupate almeno 120 mila persone, quindi per nulla inferiori, come volumi, a quelle impiegate dall’Ilva nella sua storia. Nel caso ad esempio della bonifica di Cengio, essendosi formate delle molecole del tutto impreviste, gli scienziati hanno dovuto fare ricerca e brevettare nuovi macchinari: insomma si aprirebbe una sfida tutta inedita, che guarda al futuro».

Ancora, i Cinquestelle propongono la creazione di «parchi per le energie rinnovabili, dalle alghe alle centrali solari». E poi «valorizzare il porto, l’agricoltura, e il turismo, visto che Taranto è una città bellissima e con un centro storico da rivalutare e riscoprire», spiega la parlamentare europea Rosa D’Amato. «Utilizzando i fondi sociali europei, e soprattutto quelli Feg, destinati proprio alla formazione e al ricollocamento dei lavoratori: dovrebbero essere i politici locali a farne richiesta».

D’accordo Riondino: «Il futuro di Taranto sta nella sua bellezza e nell’innovazione, più che in un’industria che ci ha tolto invece di darci un futuro».