Da una località sicura, a Hong Kong, Edward Snowden è tornato a parlare. La fonte degli scoop del Guardian e del Washington Post su Prism e il sistema di controllo della popolazione americana e non solo, messo in atto dall’Agenzia di Sicurezza degli Stati Uniti, ha rilasciato un’intervista esclusiva al South China Morning Post, principale quotidiano di Hong Kong. La prima novità dunque è che contrariamente a quanto era stato diffuso dai media, Snowden sarebbe ancora a Hong Kong. Stando a quanto dichiarato via mail da alcuni redattori del quotidiano della città stato, Snowden avrebbe lasciato il lussuoso hotel nel quartiere di Kowloon, nel quale avrebbe trascorso i primi giorni nell’ex colonia britannica, per trasferirsi in una casa sicura.

Snowden è un americano di 29 anni, ex agente Cia; ha lavorato alcuni mesi per un’azienda – la Booz Allen Hamilton che dopo lo scandalo lo ha prontamente licenziato – che aveva ricevuto in subappalto parte del lavoro dell’Agenzia nazionale di Sicurezza. Grazie a questa attività è entrato in possesso di documenti riservati circa un progetto, denominato Prism, attraverso il quale l’amministrazione americana controllava via internet migliaia di persone fuori dagli Stati Uniti. Approvato dal governo Bush, il piano era stato confermato dal nuovo corso di Obama. Snowden ha rivelato al Guardian parte di questo progetto, facendosi infine intervistare in un video nel quale annunciava di essere lui la fonte e di essere ad Hong Kong.

Nell’intervista al South China Morning Post, invece, Snowden avrebbe rivelato nuovi e importanti obiettivi dell’intelligence americana – le operazioni globali di hackeraggio della Nsa sarebberi state oltre 61 mila con centinaia di bersagli a Hong Kong e su territorio cinese, ha raccontato – e soprattutto avrebbe difeso e spiegato la sua scelta di riparare nella città stato. Si saprà di più tra qualche ora quando lo scoop, anticipato dal sito del giornale, sarà pubblicato sull’edizione cartacea. «La mia intenzione – ha spiegato alla giornalista del quotidiano – è quella di appellarmi alle corti e alla popolazione di Hong Kong per decidere il mio futuro. Non ho dubbi sul vostro sistema giudiziario e legislativo». Snowden ha anche spiegato le ragioni della scelta di Hong Kong come location per la fuga: «Le persone che pensano che ho fatto un errore nello scegliere Hong Kong come posto dove fermarmi, fraintendono le mie intenzioni. Io non sono qui per nascondermi dalla giustizia, io sono qui per rivelare la criminalità». L’ex agente Cia ha inoltre specificato di aver avuto molte opportunità di lasciare e fuggire da Hong Kong ma «ho preferito rimanere e combattere il governo degli Usa nei tribunali, perché ho fiducia nel vostro sistema».

In attesa di nuove rivelazioni, specie su altri obiettivi delle attività di controllo degli Usa, la scelta di Snowden mette nel sacco soprattutto Obama e la tanto decantata difesa della privacy statunitense, soprattutto perché il megafono dello scandalo è a Hong Kong, che significa Cina. Il sillogismo è logico: si pensava che fosse la Cina il paese per eccellenza in tema di controllo della popolazione e ora si scopre che in questo ambito gli Stati Uniti non sono così diversi. È quanto ha affermato ieri anche Ai Weiwei, l’attivista e architetto cinese, che in un articolo scritto per il Guardian, non ha risparmiato critiche all’amministrazione Obama: «Questo abuso di potere dello Stato – ha scritto l’architetto – va totalmente contro la mia comprensione di ciò che significa essere una società civilizzata, e sarà scioccante per me, se i cittadini americani consentiranno che ciò continui. Gli Usa hanno una grande tradizione di individualismo e privacy e sono stati a lungo un centro per la libertà di pensiero e conseguentemente di creatività».

Il destino di Snowden ora è appeso alla reazione americana e a quella che sarà la decisione di Hong Kong – e della Cina – di fronte a un’eventuale richiesta di estradizione degli Usa. Nel frattempo a Washington lo scandalo sembra non placarsi. Nell’incontro a porte chiude tra i funzionari dell’Fbi e il Congresso, che avrebbe dovuto rassicurare i deputati sui programmi di sorveglianza emersi dagli scoop di Guardian e Washington Post, sarebbero emerse ancora maggiori preoccupazioni. Secondo il democratico Xavier Becerra, non ci sarebbe stata la necessaria supervisione del governo. Becerra ha inoltre invocato la revisione del Patriot Act, la legge voluta per rafforzare la sicurezza dopo gli attentati dell’11 settembre 2001. Il democratico Bill Pascrell, invece, è tra i deputati che hanno negato di aver mai sentito parlare, prima d’ora, dei programmi di sorveglianza con cui «gli americani sono spiati».