Un limbo giuridico senza evidente via d’uscita. Così appariva ieri la situazione di Edward Snowden, il trentenne nordamericano, ex consulente della Cia, che ha rivelato il gigantesco piano di intercettazioni illegali messo in campo dagli Usa su scala internazionale.
Quella che è ormai per tutti «la talpa del Datagate» è ancora nell’aeroporto moscovita di Sheremetievo, dov’è approdato da Hong Kong il fine settimana scorso: non può comprare il biglietto per altra destinazione perché non ha passaporto e il suo visto di transito sta per scadere. I suoi documenti sono diventati incandescenti il 14 giugno, dopo la condanna emessa dai giudici della Virginia per spionaggio e furto di beni dello stato. Da allora Snowden è un pericoloso ricercato, al centro di un caso diplomatico di portata internazionale. Ha intercettato e diffuso i dati del piano ultrasegreto Prism quando lavorava come esperto informatico in una sede dell’Agenzia per la sicurezza nazionale (Nsa), alle Hawaii. Il 20 maggio se n’è andato a Hong Kong, poi ha dovuto lasciare la Cina, a seguito delle pressioni statunitensi.

Dal 2009, gli Usa entravano anche nei server riservati degli altri stati utilizzando indirizzi internet e provider del singolo paese. Nello stesso modo, Londra ha spiato i partecipanti al G20 del 2009. Snowden pare abbia accettato il lavoro con il contractor della Nsa Booz Allen proprio per raccogliere «gli oltre 200 documenti delicati» che stanno facendo vedere i sorci verdi all’amministrazione Obama. Archivi segreti che, prudentemente, Snowden ha deciso di spedire a diverse persone e che verrebbero divulgati nel caso in cui gli accadesse qualcosa. Così almeno ha sostenuto Glenn Greenwald, il giornalista del Guardian che ha pubblicato le informazioni della «talpa». I documenti sono però cifrati e protetti da un complesso sistema di sicurezza, ha precisato Greenwald, aggiungendo che, in questi giorni, anche lui preferisce portarsi sempre appresso computer e dati.

[do action=”citazione”]Visto di transito in scadenza. Per Putin ora la questione riguarda solo l’Fbi e l’ex Kgb[/do]

Secondo la stampa moscovita, il direttore dell’Fbi, Robert Mueller, ha preso contatto con Alexandr Bortnikov, il suo omologo del Servizio federale di sicurezza russo (l’Fsb, una volta Kgb). Il presidente russo, Vladimir Putin, pur avendo rispedito al mittente la richiesta di estradizione Usa, lo aveva annunciato: il caso Snowden «è un problema di cui devono occuparsi il signor Mueller e il signor Bortnikov».
Snowden ha chiesto asilo politico all’Ecuador. Così aveva fatto anche Assange, che ha avuto risposta positiva, ma che da un anno resta confinato nell’ambasciata ecuadoregna a Londra perché la Gran Bretagna lo vuole estradare in Svezia per fargli scontare una pena. Lo staff di Wikileaks sta fortemente sostenendo Snowden, ma ieri l’ex giudice spagnolo Baltasar Garzón, che difende Assange, ha annunciato che non accetta di patrocinare anche l’ex consulente Cia, senza però spiegarne le ragioni.
Secondo Assange, Quito ha concesso a Snowden un documento da rifugiato, ma la notizia non ha trovato conferma. E ieri il ministro degli Esteri ecuadoriano, Ricardo Patiño, ha dichiarato che i tempi per un’eventuale concessione dell’asilo politico a Snowden sarebbero comunque lunghi: forse non due mesi come per il fondatore di Wikileaks, ma quasi.

La buona volontà, però, rimane. Lo ha confermato in twitter il presidente ecuadoriano Rafael Correa, ribattendo alle accuse di Washington per la legge sulla comunicazione che ha promulgato di recente, considerata dagli Usa lesiva della libertà di stampa. Anche il presidente venezuelano, Nicolas Maduro, si è detto disponibile a esaminare un’eventuale richiesta di asilo di Snowden e per questo ha subito i soliti attacchi dalla destra di Henrique Capriles: «Se Maduro vuole ricucire con gli Stati uniti, non può accogliere Snowden», ha detto Capriles, dando per inteso che gli unici rapporti possibili con gli Usa siano quelli basati sulla più completa asimmetria. Correa vuole diventare il nuovo Chávez,«il principale demagogo antistatunitense dell’emisfero», ha scritto il Washington Post. I giornale ha inoltre ricordato che le condizioni di favore che gli Stati uniti concedono all’Ecuador a livello di dogana come compensazione per la lotta antidroga scadono a luglio…

«Gli Usa cercano di concentrare l’attenzione su Snowden e sui paesi “cattivi” che lo “appoggiano” per far dimenticare le cose terribili nei confronti del popolo nordamericano e del mondo intero che egli ha denunciato. Il loro ordine mondiale non è solo ingiusto, è immorale», ha risposto attraverso un twitter Correa.
Intanto, in sede di trattativa, Patiño potrebbe far pesare agli Usa il nutrito elenco di corrotti e banchieri ecuadoriani, condannati nel paese andino che hanno trovato riparo negli Stati uniti: dall’ex presidente Jamil Mahuad, ai banchieri Roberto e William Isaías, all’ex direttore dell’intelligence militare Mario Pazmiño.