Si chiama «Endlager»: sarà il deposito finale dei 28.000 metri cubi di scorie radioattive ereditate con la chiusura definitiva delle ultime centrali nucleari tedesche, prevista alla fine del prossimo anno. Dovrà essere tecnicamente operativo a partire dal 2031, e politicamente scelto entro questo decennio, ma solo ed esclusivamente sulla base della carta geologica della Germania.

Alla fine dello scorso settembre l’Agenzia federale per lo smaltimento dei rifiuti atomici (Bge) ha trasmesso al governo Merkel la «Relazione intermedia sulle aree possibili» con la lista delle 90 zone adatte a ospitare «un buco sotterraneo profondo almeno 300 metri con spessore non inferiore a 100 metri di roccia» in grado di garantire la tenuta stagna «per un milione di anni» di circa 2.000 bidoni tossici, impossibili da riprocessare o smaltire diversamente.

È il risultato della ricerca iniziata nel 2017, che ha portato i settanta esperti della Bge innanzitutto a escludere l’attuale sito di Gorleben, nel Land della Bassa Sassonia: la gigantesca miniera di sale dove finora sono state stoccate le scorie radioattive del programma nucleare tedesco inaugurato in pompa magna nel 1962 e chiuso d’urgenza dalla cancelliera Angela Merkel all’indomani del disastro di Fukushima, grazie alle enormi pressioni del movimento antinuclearista e dei Verdi.

Così la Bge è stata incaricata di individuare le aree geologiche «naturalmente predisposte», che di fatto corrispondono a oltre il 54% del territorio della Repubblica federale: dalla Baviera alla Bassa Sassonia, dal Baden-Württemberg all’Assia, fino ai Land orientali della ex Ddr.

Secondo il parere «strettamente tecnico e politicamente neutrale»: esattamente come chiedevano i Verdi, le cui radici affondano proprio nelle manifestazioni del movimento del «Sole che ride», che negli Anni Ottanta coniò lo slogan «Energia atomica: Nein Danke!» opponendosi alla decisione del governo di trasformare il comune di Gorleben nella pattumiera nucleare della Germania-Ovest.

Un luogo perfetto per i leader di partito dell’epoca: così lontano dal Parlamento di Bonn, così vicino al confine con la Ddr. «Lasciamo che questa volta sia la Scienza a scegliere, in maniera autonoma, senza le intromissioni della politica» riassume il vice capogruppo dei Grünen al Bundestag, Oliver Krischer, memore della resistenza che a Gorleben riuscì a riunire «gli hippy con i contadini» pronti a occupare fisicamente l’ingresso della miniera ribattezzato come «Libera Repubblica di Wendland».
In pratica, la scelta definitiva dell’«Endlager» dovrà vertere esclusivamente sul «luogo relativamente più sicuro» dove seppellire la montagna di fusti gialli altamente radioattivi.

Secondo le tre alternative attualmente sul tavolo dei geologi della Bge: miniera di sale, di argilla, oppure di granito, tenendo conto che qualunque soluzione è tutt’altro che perfetta, perché soggetta alle infiltrazioni d’acqua oppure alla fragilità delle rocce.

Lo certifica l’inquietante esperienza misurata sul campo degli attuali siti di stoccaggio «intermedi», tra cui spicca la miniera di salgemma «Asse II», sempre in Bassa Sassonia, dove dal 1967 al 1978 furono tombati 125.787 container di scorie radioattive a bassa attività e 16.100 a media attività.

Già nel 1995 erano venute a galla le spaventose condizioni di sicurezza del deposito dovute all’inarrestabile erosione del terreno circostante. Dodici anni fa, con una spesa di milioni di euro, il governo fu costretto a recuperare uno a uno tutti i bidoni radioattivi.

Ma in Germania resta vivo anche il ricordo del «disastro» di Morsleben: il sito nel profondo Est destinato a ricevere le scorie degli otto reattori dell’ex centrale atomica di Greifswald (in Mecleburgo-Pomerania) ai tempi della DDR.

L’ennesima miniera di sale riempita di 37.000 metri cubi di rifiuti tossici fino alla fine delle operazioni di stoccaggio concluse otto anni dopo il crollo del Muro di Berlino. Un altro esperimento fallimentare da evitare, la cui «decommissioning» oggi non è stata ancora dichiarata conclusa.