Sospesa tra la «grande svolta culturale» studiata dalla segretaria finalmente disposta a rottamare il riformismo liberal dell’ex cancelliere Schröder, e la «piccola rivoluzione» immaginata dagli Jusos (Giovani socialisti) già nell’orbita ecologista, da sempre contrari a qualunque alleanza con i democristiani.

La Spd eppur si muove: anche se con sondaggi per le Europee che la inchiodano ancora al 18%: 9 punti in meno del 2014, metà della Cdu, la stessa quota dei Verdi. In queste condizioni, gli attuali 27 seggi all’Europarlamento restano un miraggio: se va bene i deputati socialdemocratici tedeschi saranno almeno una dozzina in meno.

Tuttavia a Berlino si prende atto del cambio di passo imposto dalla realpolitik che condanna chi non si rinnova.

La segretaria Andrea Nahles, a un anno esatto dalla nascita della Grande coalizione, inaugura la stagione del «nuovo Stato sociale che sia partner dei cittadini e non il suo controllore».

Tradotto, significa la fine della «dittatura dell’Hartz IV» (i sussidi sociali incardinati sulle sanzioni), delle indennità di disoccupazione erogate con il contagocce, della clamorosa disparità di genere incarnata nel Bundestag a trazione maschile. Ma vuol dire anche inizio della nuova «pensione di base», della legge sul 50% di cariche elettive riservate alle donne, della «riqualificazione» dei lavoratori «prima che perdano il lavoro» come precisa Nahles.

Una svolta vera; anche se nei posti-chiave la leader Spd continua a piazzare sempre le stesse persone. Spicca il vice-cancelliere Olaf Scholz cui è stata appena affidata la poltrona nel «Gabinetto sul Clima» creato ad hoc dalla cancelliera Merkel alla vigilia del Friday for Future. Non proprio l’incarico ideale per l’uomo la cui priorità resta la fusione tra Commerzbank e Deutsche Bank destinata, peraltro, a produrre migliaia di esuberi.

Ciò nonostante, due mesi prima del voto europeo Nahles rilancia il Bürgergeld: il “reddito di cittadinanza” che dovrebbe rappresentare la «netta cesura con il passato».

Ma il futuro del partito è già scritto. Si chiama Delara Burkhardt, 26 anni, di Amburgo, astro nascente degli Jusos: la più giovane candidata socialista all’Europarlamento. Venerdì era in piazza a Chemnitz – roccaforte di Afd – a fianco degli studenti dei Fridays For Future. «L’Europa deve prendere sul serio gli obiettivi climatici tassando i gas-serra, ristrutturando il settore energetico e con una politica commerciale basata sul valore e non sul prezzo» è il suo punto fermo. Parole indigeribili per i “vecchi” dirigenti della Spd, intenti a contare i possibili voti nella Ruhr, a strizzare l’occhio ai bisogni della “statale” Volkswagen, a rimandare l’uscita dal carbone dei Land dell’Est e a capire chi di loro si salverà dalla valanga di seggi in meno.

Eppure Burkhardt ha già conquistato il quinto posto nella lista alle Europee con un programma privo delle “sfumature” richieste dal suo partito.

«Non si tratta di essere pro o contro l’Europa ma di capire come spiegare l’ingiustificabile. Come spiegare che l’Ue può muovere miliardi di euro per salvare le banche mentre 125 milioni di europei vivono in povertà; che le persone affogano nel Mediterraneo perché gli Stati membri negano qualunque aiuto; che l’Ue è ancora la cosa migliore che può accadere all’Europa».

Una raffica di domande in grado di mettere in crisi la timida “rifondazione socialista” di Nahles, che gli Jusos considerano – sempre e comunque – come «la funzionaria della vecchia-guardia» o, peggio, la «delfina di Martin Schulz» che si è spolmonata a favore della Groko con Cdu e Csu.

Certamente, la segretaria è riuscita a recuperare un po’ di terreno (la Spd nei sondaggi di inizio febbraio era quotata al 15%) e lunedì scorso era in prima fila alla manifestazione per la «Giornata della parità salariale» pronta a ricordare che «ogni cent di differenza fra uomo e donna è un urlo di ingiustizia».

In più molte militanti della Spd hanno apprezzato come l’8 marzo a Berlino abbia mobilitato il partito per celebrare la ricorrenza elevata a festività comandata, rivendicando al contempo le «conquiste» del “suo” governo, come la parificazione delle assicurazioni sanitarie, le norme a favore del mercato del «lavoro sociale» e gli stanziamenti per gli asili. Basterà?