Perché il presidente venezuelano Nicolas Maduro all’inizio di maggio, nel pieno di una crisi politica e sociale drammatica, ha deciso di innescare un processo costituente, decretando la formazione di un’Assemblea costituente?

Si tratta, come lo si accusa, di voler cambiare le regole del gioco mentre sta perdendo? O di voler attuare una pericolosa fuga in avanti?

Per cercare di dare una risposta bisogna fare un passo indietro. Al 1998, quando Hugo Chávez vinse le presidenziali rompendo il dualismo (mafioso) tra bianchi e verdi, democristiani e socialdemocratici, che si spartivano il potere e i dividendi della gestione del governo.

Il nuovo presidente riteneva che la Costituzione della Quarta Repubblica (1961) – che permetteva tale spartizione – fosse «moribonda» e per questo decise di attivare i meccanismi giuridici per superarla. Nelle intenzioni di Chávez innescare un processo costituente era direttamente legato alla sua idea di una rivoluzione bolivariana.

Si trattava di attivare una forza popolare (di massa) e democratica di innovazione istituzionale da lanciare contro il potere costituito, ovvero la sua fissazione nella Carta Magna e nelle corrotte istituzioni dello Stato.

Nelle idee di Chávez il potere costituente riconosceva la sovranità originaria del popolo, per questo convocò una consulta nazionale sul processo costituzionale che aveva innescato e sottopose il nuovo testo a un referendum popolare.

Chávez aveva riflettuto – lo sostiene anche l’analista Rafael Rojas – sulle idee esposte da Antonio Negri in un suo libro –“Il potere costituente” del 1992 e ripubblicato dal Manifesto libri nel 2002 – che all’inizio degli anni Novanta circolava e veniva dibattuto negli ambienti della sinistra latinoamericana.

Per descrivere la lotta fra potere costituente e potere costituito, nel libro, Negri ricapitola le teorie costituzionali da Machiavelli e Rousseau, ai padri fondatori della costituzione degli Stati Uniti a Sieyès, Marx e Lenin ed esplora il ruolo delle rivoluzioni – compresa la bolscevica – nella rifondazione giuridica delle nazioni.

Chávez avrebbe letto il libro e dibattuto le idee di Negri quando era in carcere, dopo il fallito colpo di stato contro il presidente Carlos Andrés Pérez da lui guidato nel 1992.

La costituzione (bolivariana) del 1999 rispecchia questa sua origine democratica e stabilisce sia il diritto a referendum popolari, sia il potere costituente del popolo. E infatti Maduro, in pieno rispetto delle sue prerogative, fa appello agli articoli 347 e 348 per convocare una nuova Assemblea costituente.

La domanda però è quella posta all’inizio. Perché il presidente venezuelano per governare deve riformare la Costituzione voluta e approvata da Chavez?

La risposta degli avversari (interni ed esterni) di Maduro è che il testo fondamentale del 1999 è democratico e garantisce libere elezioni, la competizione di diversi partiti, la divisione dei poteri e da garanzie al governo eletto.

Principi questi che, secondo le opposizioni, sono oggi di ostacolo alla «dittatura di Maduro». Il quale, con la nuova Costituzione, vorrebbe dar vita a un Parlamento composto di (o in grande maggioranza di) uomini del suo partito. «Come l’Assemblea nazionale del Poder popular di Cuba», si afferma.

Però gli stessi dirigenti dell’opposizione che oggi si oppongono alla Costituente dopo la morte di Chávez avevano chiesto a gran voce la riforma della Costituzione, sperando di poter restaurare la Quarta Repubblica.

Il problema ora è nella elezione dei membri costituenti, dunque se si tratterà di un salto di qualità della rivoluzione bolivariana con la partecipazione del popolo come elemento fondamentale costituente e forza democratica di innovazione, o di una nuova, più acuta e pericolosa, fase di lotta per il potere.

Con schieramenti politici e con la popolazione così polarizzati, la mossa di Maduro potrebbe rappresentare la via diretta verso l’inizio di una guerra civile. E dunque di un intervento esterno. Immancabilmente guidato dagli Usa, che già da tempo si stanno preparando.

Però, quali sono le alternative? L’opposizione, ha messo in chiaro che non è interessata al dialogo. Nemmeno se è proposto dal papa Francesco e appoggiato da personalità internazionali e da vari governi latinoamericani. Lo ha accettato solo come tattica dilatoria, quando si sentiva in svantaggio.

Ma oggi, con Trump alla Casa bianca, l’oligarchia venezuelana avverte che la situazione internazionale è a suo favore. E fa quello che meglio sa fare: la violenza, la guerra economica, le manovre internazionali per l’isolamento del governo. Mentre l’Assemblea nazionale, dove l’opposizione ha la maggioranza, non essendo riuscita a mettere in cantina le conquiste sociali del chavismo, continua a mettere i bastoni nelle ruote del normale funzionamento dello Stato.

Però cambiare le regole del gioco non è garanzia di successo. E’ vero che Maduro non è intenzionato a rifare la Magna Carta, ma propone di aggregarle nuovi meccanismi che permettano di blindare i fondamenti del chavismo – le missioni sociali e il poder popular come fondamento politico dello Stato.

Ma il rifiuto espresso il 22 maggio dal presidente dell’Assemblea nazionale di accettare le regole di elezione dei membri della Costituente e Il susseguirsi delle manifestazioni violente dell’opposizione dimostrano che una parte della società venezuelana non accetta queste basi ed è disposta a seguire le indicazioni dell’oligarchia di tentare di abbattere il governo con la forza e/o di rendere possibile un intervento esterno.

In questa situazione di crisi sociale acuta con un rischio evidente di un conflitto civile Victor Gaute López, il responsabile delle missioni cubane – medica, casa, agricoltura, sportiva, alfabetizzazione, in tutto più di 30.000 persone – il 20 maggio ha incitato i cooperanti cubani affinché «aumentino la loro combattività». L’Avana getta dunque tutto il suo peso in una crisi il cui esito potrebbe avere ripercussioni tragiche anche per l’isola.