L’approvazione della nuova costituzione e l’annuncio del nuovo governo, in contemporanea nella notte tra domenica e lunedì, hanno fatto uscire la Tunisia dallo stallo che l’avviluppava. È ancora la piccola Tunisia a indicare la difficile e accidentata strada della rivoluzione. Forse proprio perché è un paese piccolo e privo, o quasi, di risorse strategiche può permettersi di sottrarsi alle grandi pressioni internazionali – ma non alle brame dello sceicco del Qatar – e scegliere la propria strada.

I tunisini con le loro lotte sono riusciti a liberarsi del governo islamista di Ennahdha e ad approvare una costituzione che ha respinto le richieste del partito religioso e, pur con ambiguità, non ha nulla a che vedere con quelle dei paesi musulmani più ortodossi o conservatori. La costituzione è stata approvata con una maggioranza schiacciante: 200 voti a favore, 12 contrari e 4 astensioni. La soglia dei due terzi necessaria per evitare il referendum (145 voti) è stata dunque ampiamente superata. Nel palazzo del Bardo dove l’Assemblea costituente si è riunita per oltre due anni – raddoppiando il tempo previsto di un anno – la nuova costituzione è stata salutata dai deputati con segni di vittoria, inno nazionale e bandiere tunisine. Certo si tratta di un’unanimità di facciata, basata su molti compromessi mentre i veri nodi irrisolti emergeranno con le interpretazioni. Soddisfazione è stata espressa non solo dal presidente della repubblica Moncef Marzouki e da quello dell’Assemblea costituente Mustapha Ben Jaafar, ma anche dall’opposizione. «Mi sento per la prima volta riconciliata con questa assemblea», ha detto Nadia Chaabane, deputata del partito al Massar, dopo tante controversie con gli islamisti.

Il testo approvato è sicuramente molto diverso dalle richieste dei partiti religiosi: la sharia non è la fonte legislativa anche se l’islam è la religione di stato. Soprattutto sono stati mantenuti i diritti delle donne, la costituzione riconosce l’uguaglianza di cittadini e cittadine davanti alla legge, anche se questo non sana disparità come quella dell’eredità (la donna ha diritto a metà dell’eredità dell’uomo). E garantisce la parità tra uomo e donna nei consigli eletti. Altro riconoscimento importante è la libertà di coscienza e di religione e la neutralità delle moschee. Ma nello stesso articolo (n. 6), lo stato si impegna a diffondere i valori di moderazione e tolleranza e a proteggere il sacro… Manca tuttavia la definizione di «sacro» ed è nelle interpretazioni che si nasconde il «diavolo», come ci aveva detto un tunisino. D’altra parte l’art. 48 stabilisce che nessuna modifica del testo potrà rimettere in discussione i diritti e le libertà riconosciuti da questa costituzione.

Diffusa delusione ha invece registrato l’annuncio del varo del governo presieduto da Mehdi Jomaa la cui designazione non era stata approvata dall’opposizione che ora giudica il nuovo esecutivo come un prestanome della Troika (il governo precedente formato da Ennahdha, Congresso per la repubblica e Ettakatol). Un governo che sulla carta dovrebbe essere indipendente così come i suoi componenti e il cui compito è quello di governare fino alle prossime elezioni, previste in ottobre. Jomaa era stato imposto dagli islamisti, così come – dicono i critici – alcuni ministri.

Critiche anche per la limitata presenza delle donne 3 su 29 componenti (22 ministri e 7 segretari di stato).

«Il numero delle donne nel gabinetto di Jomaa prova che la donna per lui può fare solo la vedova di un martire. Ne è la prova il fatto che ha mantenuto Ben Jeddou ministro dell’interno», sostiene la scrittrice Olfa Youssef. E infatti le maggiori critiche al capo del governo riguardano proprio il ministro degli interni, l’unica conferma dell’esecutivo uscente, ritenuto responsabile di non aver evitato l’assassinio di Mohamed Brahmi seguito a quello di Chokri Belaid. Il Fronte popolare voterà dunque contro il governo che dovrà ottenere la fiducia dell’Assemblea costituente questa settimana.