In attesa di grandi riforme strutturali dell’edificio ecclesiale, la parola chiave per interpretare l’inizio del pontificato di papa Francesco è «carisma». Il papa è un leader carismatico, vitale, entusiasta, trascinante e vuole una chiesa che gli assomigli, carismatica e missionaria anch’essa.

Con l’arrivo di Bergoglio, è arretrata di colpo la chiesa nostalgica, quella dei tradizionalisti, dei resistenti a oltranza alla modernità, la chiesa lugubre e arcigna di Medjugorje, la chiesa delle cupe profezie apocalittiche di Padre Livio e di Radio Maria, ma anche la chiesa intransigente e neocostantiniana dei valori non negoziabili che in Italia ha avuto, per un ventennio, il volto severo del cardinal Ruini.

Al loro posto, è avanzata clamorosamente, perlomeno nella figura del pontefice, una chiesa accogliente, «ospedale da campo dopo una battaglia», una chiesa che «cura le ferite» e «riscalda il cuore dei fedeli», che si fa loro prossima. Una chiesa materna e affettuosa («Madre e Pastora», ha detto il papa), che indulge al perdono più che al giudizio, che dismette il pessimismo ratzingeriano e si protende con entusiasmo in soccorso dei sofferenti e dei bisognosi, portando loro un messaggio di speranza, una promessa di salvezza. Una chiesa che non teme più il mondo moderno, non perché vi si voglia confondere, ma piuttosto perché lo immagina come un «campo di battaglia», regno di tragiche incertezze sociali e psicologiche, distruttore di legami, generatore di patimenti dell’animo e del corpo che richiedono di essere leniti. È proprio il lenimento di queste piaghe la prima missione della chiesa terapeutica, «ospedaliera», di Bergoglio. Una spiritualità, quella del papa, anticipata dai rituali di guarigione dei gruppi carismatici, che da mezzo secolo lasciano da parte penitenze, castighi e peccati, per mettere al centro gli individui sofferenti e la liberazione dai loro tormenti, attraverso la preghiera comunitaria, l’abbraccio sentimentale dei «fratelli» e delle «sorelle», l’entusiastica forza emotiva dei canti e della glossolalia. Sono gruppi, quelli carismatici, che accolgono nel loro seno soprattutto quelle persone la cui vita, citando il papa, «è stata un disastro, distrutta dai vizi, dalla droga e da qualunque altra cosa […]un terreno pieno di spine e di erbacce», nelle quali però «c’è sempre un spazio in cui il seme buono può crescere».

Dunque, nella chiesa che il nuovo papa ha descritto nell’intervista a Civiltà Cattolica, l’enfasi è posta tutta sul primo annuncio, sulla conversione e sulla profezia. Francesco ha probabilmente compreso che, nell’epoca secolare, il cattolicesimo è divenuto minoritario e non può più vivere della rendita che gli deriva dalla tradizione, né tantomeno dal connubio costantiniano con la politica, dalla sintonia con il Potere. Il nuovo orizzonte ecclesiale è quello del pluralismo religioso, dove il cattolicesimo potrà sopravvivere se tornerà agli elementi essenziali della sua proposta, se convincerà i tanti che si sono allontanati a fare ritorno, se li riconvertirà alla fede, offrendo loro non tanto complicati ragionamenti teologici, ma l’inserimento in piccole comunità affettive guidate da parroci o laici davvero carismatici e «pastori». In questo scenario, parzialmente immaginato già da Giovanni Paolo II, l’adesione religiosa dei singoli diventa compiutamente «fatto privato», «questione personale».

È per questo, per la priorità assegnata alla missione evangelizzatrice, che Francesco precisa che la difesa dei valori non negoziabili non può essere la priorità della chiesa. Non perché questi non siano più importanti o perché la dottrina cattolica sia improvvisamente mutata, ma perché la priorità è assegnata alla conversione e l’adesione alla dottrina (che non può realisticamente più essere imposta a chi è lontano in un mondo nel quale ciascuno «sceglie» il proprio credo) verrà dopo, come inevitabile conseguenza di una scelta di fede.
Per la stessa ragione, anche le riforme non sono così essenziali nello schema di Bergoglio. Probabilmente verranno, e potrebbero essere anche straordinarie, ma saranno sempre subordinate a quel cambiamento di atteggiamento che il papa ha messo al primo posto e che possiamo chiamare la «svolta carismatica».
È presto per dire se, quanto rapidamente e quanto in profondità questo nuovo corso si imporrà all’intero corpo ecclesiale, che non può essere immaginato semplicemente come il contesto che circonda il sovrano. Le resistenze non mancheranno. Il futuro si annuncia interessante.