Minibot sì, minibot no. È l’ultima frontiera dello scontro, vero o finto che sia, all’interno del governo giallo-verde. La Lega rilancia, Conte e Tria chiudono, perché «spaventati dalla disinformazione», a dire di Claudio Borghi. Ma esattamente, di cosa stiamo parlando? Atteniamoci scrupolosamente alla versione della Lega che poi è quella che trova riscontro nel cosiddetto «contratto di governo».

Leggiamo: «Tra le misure concretamente percorribili, spiccano l’istituto della compensazione tra crediti e debiti nei confronti della pubblica amministrazione e la cartolarizzazione dei crediti fiscali, anche attraverso strumenti quali titoli di Stato di piccolo taglio».

Se ne ricava che lo strumento dovrebbe servire a saldare i «debiti» che la pubblica amministrazione ha attualmente con le imprese. Valore circa 50 miliardi di euro. E che l’emissione di questi titoli di stato, senza scadenza e senza interessi, sarebbe correlata ad un «debito già esistente». Non genererebbe, insomma, nuovo debito.

Falso. Quelli che impropriamente vengono chiamati «debiti» della pubblica amministrazione altro non sono, se si eccettuano i «debiti fuori bilancio», che «ritardati pagamenti» a fronte di regolari imputazioni e coperture finanziarie nei bilanci degli enti pubblici. Per intenderci: i soldi ci sono ma il pagamento ritarda per la lentezza del procedimento amministrativo oppure per una momentanea carenza di liquidità, alla quale si può sempre ovviare ricorrendo, nei limiti imposti dalla legge, ad anticipazioni di tesoreria (bisognerebbe conoscere almeno la differenza tra «cassa» e «competenza» prima di parlare di questi temi).

Perciò, non titoli emessi in ragione di «debiti già esistenti» bensì «moneta parallela» che si aggiungerebbe (e sovrapporrebbe) ad «attivi già esistenti», spesso costituiti da contributi in conto capitale, quali sono ad esempio i finanziamenti europei erogati per il tramite delle regioni a comuni, enti montani, consorzi, enti parco. Un cortocircuito finanziario dalle conseguenze imprevedibili.

Solleva qualche dubbio, d’altro canto, l’idea che il valore di emissione di questi titoli, peraltro in formato cartaceo e di «piccolo taglio», andrebbe ad eguagliare, addirittura, il valore dell’attuale contante circolante (circa 70 miliardi). Il dubbio, in particolare, che si vogliano gettare le basi per un’eventuale uscita unilaterale del nostro Paese dalla moneta unica. O forse, subdolamente minacciarla, che sembra l’ipotesi più plausibile, vista la singolar tenzone con Bruxelles.

Non scherziamo. Biglietti colorati con l’effigie di Pertini o di Tardelli del valore di 5, 10, 100 euro hanno una loro giustificazione se pensati per stare nei portafogli delle persone, non per «compensare crediti e debiti nei confronti della pubblica amministrazione». E per far accarezzare ai cittadini l’idea di un ritorno alla nostra bella moneta nazionale, il presupposto per un futuro di libertà e di indipendenza per il nostro Paese. Magari il progetto non andrà in porto, ma intanto si alimenta la suggestione. Lo spadone di Alberto da Giussano sfoderato contro la crudele Commissione europea che ci vuole poveri e sudditi. Una riproposizione in chiave moderna della «resistenza monetaria» del popolo, dei commercianti, dei liberi professionisti del medioevo contro «l’arbitrio monetario» del sovrano. Propaganda. Mentre l’ala «dialogante» del governo, ovvero il ministro del tesoro e il presidente del consiglio, lavorano a limitare i danni, rinnovando con i commissari europei l’impegno a rispettare i patti (e il «patto», quello di bilancio).

Un’altra occasione persa. Le attuali regole di bilancio europee sono insostenibili, perché deprimono la crescita e producono povertà di massa. Vanno cambiate, superate. È stato il tema della scorsa campagna elettorale. Ma Salvini e Di Maio quali alleanze stanno costruendo in Europa per raggiungere questo obiettivo? Il rischio che tra minibot (a parole) e procedure d’infrazione (nei fatti) a pagare un prezzo altissimo saranno ancora i ceti popolari è, a questo punto, assai concreto. A maggior ragione se qualche piccolo spazio di manovra verrà utilizzato per tagliare le tasse ai ricchi.