Come nel romanzo di fantascienza di Damon Knight, nel quale si installava in soggetti psicopatici una figura di riferimento che ordinasse loro di non commettere crimini, il Gip di Tivoli ha sollevato una questione di legittimità costituzionale, lamentando che il Ministro della Giustizia sia stato espropriato del potere di curare l’esecuzione della misura di sicurezza provvisoria detentiva in Rems.

Le 18 pagine del giudice Aldo Morgigni riceveranno in altra occasione la puntuale disamina tecnica, in questa sede ci limitiamo ad alcune considerazioni: la prima attiene al reato contestato, minaccia a pubblico ufficiale (nella sua forma attenuata), avendo l’interessato detto ad un sindaco: «Te meno perché se te do ’na pizza il primario dove stavo m’ha detto che c’ho ragione…per poi lanciargli contro un cartoccio di vino senza colpirlo».

Viene davvero da chiedersi se fosse necessaria una risposta coercitiva di questo tipo, sol che si tenga conto, di quanto aveva proposto la Commissione Pelissero, che nell’ambito della delega ricevuta con L.n.103/2017 aveva previsto che detta misura potesse applicarsi solo per reati puniti con pena minima non inferiore a cinque anni.

Il Gip ha sollevato la questione dopo che era già stata esercitata l’azione penale, il mese prima, ciò che comporta la competenza in capo al Tribunale.

L’ipotesi che essa si determini invece in favore di chi ha ancora la materiale disponibilità del fascicolo, oltre che in contrasto con la lettera della legge, consentirebbe al pm di «scegliersi» il suo giudice, e dunque è lecito dubitare della correttezza della decisione.

Nel merito, è sin troppo facile rilevare che la pretesa di rinvenire nell’art.117, comma 2 della Costituzione, senza peraltro indicare quale parametro sia violato, oltre che nell’art.110 (sic!), lo spazio di intervento del Ministro della Giustizia sia assai zoppicante.

Infine, il giudice non chiarisce cosa dovrebbe poter fare il Ministro: ordinare a una REMS di accogliere un paziente anche quando il numero massimo è raggiunto? L’inammissibilità della questione risulta evidente.

È sufficiente leggere l’ordinanza per comprendere come in realtà si invochi un ritorno al passato, cancellando il principio innovativo dell’esclusiva gestione sanitaria delle REMS e della competenza del Servizio Sanitario, superando quella del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria.

Come è accaduto per altre sollecitazioni alla Corte Costituzionale ci si può affidare con serenità alla sagacia della Consulta che dovrà decidere ancora una volta tra cura e sicurezza.

Il motivo più serio per occuparci della questione è dovuto alla presentazione di Marco Paternello, magistrato di sorveglianza a Roma pubblicata recentemente su Questione giustizia. Il titolo è accattivante: Le Rems, uscire dall’inferno solo con le buone intenzioni.

L’autore attribuisce il proverbio a Karl Marx, ma la asserita lucidità del pensatore di Treviri non si trasferisce alle sue argomentazioni.

La critica al funzionamento delle Rems è legata alla presenza di una lunga lista d’attesa e alla supposta carenza di posti. Sono argomenti stantii che non fanno i conti con i problemi reali che sono determinati dall’abuso di misure di sicurezza provvisorie e dal numero eccessivo di decisioni sulla base di perizie che stabiliscono l’incapacità di intendere e volere.

A nostro parere i 631 posti sarebbero più che sufficienti se la legge 81 fosse applicata con intelligenza. Paternello auspica un impegno senza risparmio di risorse per reperire un numero di posti vagamente comparabile alle esigenze concrete.

Quanti posti? Più di quelli degli Opg? L’obiettivo pare quello di un manicomio diffuso con una forza di polizia per la sicurezza interna.

I problemi esistono e sono state presentate proposte legislative per eliminare il doppio binario del Codice Rocco. Su queste soluzioni radicali è l’ora del confronto.