Articolo uscito nel supplemento speciale al manifesto per i cento anni di Pietro Ingrao il 31 marzo scorso.

Oggi alla Camera dei deputati faremo gli auguri a Pietro Ingrao che ha appena compiuto 100 anni. Lo faremo a partire da una domanda incalzante e attuale come non mai: «Perché la politica». Tutta la sua vicenda, politica e personale, sembra costruita apposta per rispondere a questo quesito, con la ricerca mai interrotta sul ruolo dei partiti e delle istituzioni rappresentative, sulle forme della partecipazione, sull’obiettivo di attuare compiutamente la Costituzione.

Una ricerca alla quale Ingrao ha poi dato una proiezione concreta negli anni in cui ha svolto il ruolo di Presidente della Camera.

Ingrao è stato un grande Presidente. Eppure lo ha fatto per soli tre anni, dal 1976 al 1979, quando chiese di non essere riproposto per quell’incarico, pur di fronte alle energiche insistenze dei dirigenti del Pci.

Ma nonostante un tempo così breve ha lasciato un segno profondo, perché alla sua Presidenza aveva dato una missione politica: quella di pensare in forme del tutto nuove la centralità del Parlamento. Non significava l’astratta pretesa di un primato, né una supponente autoreferenzialità dell’istituzione.

Al contrario, il Parlamento avrebbe acquisito un ruolo centrale soltanto aprendosi all’esterno, alle spinte e alle turbolenze che venivano dalla società, e collegandosi all’esperienza delle assemblee elettive regionali, provinciali e comunali. Il Parlamento, dunque, come cuore pulsante della vita politica, al centro di una più vasta rete di organismi rappresentativi e di esperienze di partecipazione.

Ingrao era uomo orgogliosamente di parte, ma non ha mai ceduto al settarismo. Nei confronti di chi aveva opinioni diverse dalle sue, perfino dei suoi avversari, manifestava non solo rispetto, ma curiosità e voglia di confrontarsi. E apprezzava il lavoro parlamentare proprio perché in quella sede trovava una occasione privilegiata per cercare il nucleo di verità che c’è nelle posizioni altrui e discutere a viso aperto.

Anche per questo Ingrao gode di una stima generale ed è circondato da grande affetto.

Sentimenti resi ancora più forti da un’altra qualità che tutti gli hanno sempre riconosciuto: l’onestà, il rigore morale, la semplicità del suo stile di vita. Qualità che non dovrebbero essere rare, ma che lo diventano quando la politica si riduce a carrierismo, a lotta cinica e spregiudicata per accrescere il proprio potere personale.

Persone come lui danno alla politica il suo volto migliore, quello che mette davanti ad ogni altra considerazione ed ambizione le idee, i valori, le visioni del mondo.

Per Pietro Ingrao uno dei riferimenti essenziali è stata indubbiamente la Costituzione. Non la viveva come testo sacro e immodificabile. Ragionò infatti a lungo sui necessari cambiamenti dell’assetto istituzionale italiano.

Ma voleva che si tenesse fede alla sua ispirazione di fondo e che venisse presa sul serio. Come quando, di fronte alla guerra dei Balcani o all’invasione dell’Iraq, chiedeva il rispetto integrale dell’articolo 11. Quell’articolo, scriveva, «sancisce il ripudio della guerra. E’ vivo o morto quell’articolo? E’ solo una frase distratta per le anime belle o è un impegno cruciale ? A seconda di come si risponde a questa domanda la Costituzione si presenta come un vincolo reale o invece come un mero gioco di frasi per ingannare gli sciocchi».

Il ripudio della guerra è un elemento costitutivo del pensiero e dell’azione di Ingrao. Su questo punto pronunciò parole chiare, ad esempio, quando nel 2002 a Barcellona gli venne conferita la laurea ad honorem. Ricordò, in quell’occasione, che furono proprio la guerra di Spagna del 1936 e le macerie di Guernica che lo spinsero alla scelta antifascista.

E aggiunse: «C’è qualcosa che mi spaventa. C’è il fatto amaro che nei nostri paesi il senso comune non si allarma. Non trema più. Dobbiamo dirla questa verità amara. Sfogliate i libri, porgete l’orecchio alle parole dei governanti. Scorrete le pagine dei dibattiti parlamentari. Troverete che è sparita la parola disarmo. Non l’usa più nessuno. E’ in questo senso largo e agghiacciante che io parlo di normalizzazione della guerra. S’è liquefatto lo spavento, l’orrore che scosse la mia generazione e – in quel maggio del ’45 – ci fece giurare che mai più sarebbe tornato il massacro». Sono passati quasi settant’anni da quel maggio, e il mondo è costellato di guerre, di violenze, di terrore.

Anche la lezione pacifista di Pietro Ingrao suona adesso più attuale che mai. Riconoscerlo è il modo migliore per fargli i nostri auguri.

* L’autrice è la presidente della Camera dei Deputati