La Corte militare di Blida ha rifiutato la scarcerazione di Louisa Hanoune, segretario generale del Partito dei Lavoratori (Pt), in «custodia cautelare» dallo scorso 9 maggio. Una decisione considerata «incomprensibile come gli stessi capi d’accusa a lei rivolti» dal suo avvocato, Mokrane Ait Larbi.

Convocata inizialmente come «persona informata dei fatti» dopo l’arresto di Said Bouteflika – fratello dell’ex presidente Abdelaziz – e dei due generali Tartag e Toufik indagati dal tribunale militare «per cospirazione contro la repubblica». Accuse rivolte, in un secondo momento, anche nei confronti della Hanoune: «Attentato contro l’autorità dell’esercito e cospirazione contro la sovranità dello stato».

Per Ramdane Youssef Taazibt, deputato dimissionario del Pt all’Assemblea nazionale, la detenzione di Louisa Hanoune è legata alle sue posizioni contro il generale Gaïd Salah, capo di Stato maggiore e uomo forte del regime dopo l’uscita di scena di Bouteflika, a causa della «sua posizione intransigente che criminalizza anche milioni di algerini nelle loro proteste contro il sistema di potere».

Forti le reazioni da parte di tutte le forze politiche algerine di opposizione e di numerose associazioni e ong come la Lega Algerina per i Diritti Umani (Laddh). «La detenzione di Louisa Hanoune, primo leader di un partito politico, pone chiaramente la questione delle libertà politiche e delle domande sulle vere intenzioni del nuovo potere – ha affermato il vice presidente della Laddh, Said Salhi -. È un’escalation che ci preoccupa perché ci chiediamo se questa incarcerazione derivi dal desiderio di soffocare qualsiasi voce discordante contro la roadmap politica che il generale Gaïd Salah vuole imporre al popolo con le presidenziali del 4 luglio».

Se inizialmente gli algerini si aspettavano che l’esercito accompagnasse il movimento popolare sulla strada di una seconda repubblica, si sono subito ricreduti quando il generale ha adottato, nelle settimane successive, un progressivo «irrigidimento» durante le ultime manifestazioni ed una dura repressione con la scusa della lotta alla corruzione. Secondo molti osservatori, infatti, l’obiettivo reale rimane quello di instaurare un regime autoritario con una democrazia di facciata: un modello simile a quello della Turchia di Erdogan o dell’Egitto di al Sisi.

Un movimento di protesta trasversale che va dal Raggruppamento per la cultura e la democrazia (Rcd) di Mohcine Belhabas, al Partito centrista Jil Jadid di Sofiane Djilali – uno dei principali leader del movimento di protesta popolare al Mouwatana (Cittadinanza) – per arrivare al sostegno del Fronte delle Forze Socialiste (Ffs), proprio in questi giorni ha proposto come soluzione alternativa alle elezioni presidenziali imposte da Salah,«una conferenza nazionale di dialogo che riunisca le forze del cambiamento democratico in tempi ragionevoli, con una reale partecipazione popolare», come richiesto dai manifestanti in queste ultime settimane di protesta.

L’unica forza politica di opposizione a mantenere un basso profilo in questi giorni di proteste rimane il Movimento della Società per la Pace (Mps), principale partito islamista algerino guidato da Abdelrazzak Makri, proprio perché legato al generale Salah, amico degli Emirati arabi e dell’Arabia saudita.