Ong si cambia. Un documento allo studio della Commissione europea indica quelle che potrebbero essere in futuro delle nuove regole alle quale dovranno attenersi quanti sono impegnati in operazioni di soccorso dei migranti nel Mediterraneo, ma che per il momento sono ancora linee guida messe a punto dalla ministra dell’Interno Luciana Lamorgese per le navi delle organizzazioni umanitarie. Non si tratta ancora di un regolamento, bensì di indicazioni che raccolgono molte delle restrizioni inserite nel 2017 nel cosiddetto Codice Minniti, stabilendo però precise responsabilità anche per i Paesi di bandiera delle navi. E che avrebbero già ricevuto il via libera da parte di Germania, Francia e Spagna.

Il documento messo a punto dal Viminale è stato inviato a Bruxelles dopo il consiglio Gai di febbraio per poi rimanere bloccato a causa dell’emergenza coronavirus. Fino ad ora che, spinto anche dalla ripresa degli sbarchi (211 migranti sono stati salvati in sole 48 ore dalla nave Sea Watch 3 che ha fatto richiesta di un porto sicuro, mentre la Mare Ionio è intervenuta ieri in soccorso di altri 70) è tornato di attualità. «Stiamo ricevendo dalla Commissione europea e dai diversi Stati partner segnali positivi sulla prospettiva di adottare linee guida europee sulle attività di ricerca e soccorso in mare condotte da imbarcazioni private», ha spiegato Lamorgese intervenendo la scorsa settimana scorsa in Senato.

Il testo in mano alla commissaria agli Affari interni Ylva Johansson si propone due obiettivi: salvare vite umane, come previsto dal diritto internazionale ma anche, è spiegato, evitare che proprio le attività di soccorso possano favorire, seppure in maniera involontaria, le organizzazioni criminali. Quattro i capitoli: 1) Sicurezza degli assetti navali; 2) Regole di comportamento per le ong; 3) Obblighi di informativa e, infine, 4) Responsabilità degli Stati membri.

Sul primo punto è previsto che le navi delle ong, ovvero le navi impegnate «in maniera non occasionale» nelle attività di soccorso, debbano garantire una sistemazione adeguata ai naufraghi, con spazi idonei, un numero sufficiente di bagni e dotazioni di salvataggio. Ovviamente, ma questo già accade oggi, l’equipaggio deve essere formato da professionisti addestrati per effettuare salvataggi in mare. Per quanto riguarda le regole di comportamento, si chiede che i soccorsi vengano svolti sotto il coordinamento del Mrcc competente (il Centro di coordinamento delle attività di salvataggio), quello libico compreso anche se è chiaro a tutti, come hanno più volte riconosciuto gli stessi vertici europei, che la Libia non può essere considerata un porto sicuro. Inoltre si invitano le ong a non spegnere i transponder (i dispositivi che segnalano la posizione della nave, cosa che le ong hanno sempre negato di aver fatto) e di non eseguire segnalazioni luminose notturne, a meno che non siano necessarie.

Si chiede inoltre di non effettuare trasbordi di migranti da una nave all’altra. Una volta terminato il soccorso le ong devono collaborare nel recupero dell’imbarcazione utilizzata dai migranti.

Infine gli Stati di bandiera. Tocca a loro indicare un porto sicuro, ovviamente nel proprio territorio. Se questo non è possibile, per la distanza, per le condizioni del mare o per altri motivi, i migranti vengono sbarcati nel Paese più vicino e lo Stato di bandiera si impegna ad accoglierli anche in caso di mancato accordo europeo sui ricollocamenti.

La nota positiva è che in questo modo si potrebbe finalmente mettere fine alla politica dei porti chiusi. Gli Stati si impegnerebbero inoltre a studiare specifiche sanzioni per le ong che non rispetteranno le regole, nonché a effettuare controlli sui loro assetti societari e sulla provenienza dei finanziamenti.

Il documento affiancherà la riforma del diritto di asilo in discussione a Bruxelles e che presto potrebbe vedere la luce per la pressioni della Germania. Dal primo luglio sarà infatti Berlino a guidare la Ue e alla cancelliera Merkel non dispiacerebbe portare a casa un risultato che attende da tempo.