Uomini dagli sgargianti rossetti rossi sotto baffi irsuti, ombretti colorati, ciglia lunghe, orecchini, vestiti femminili, gambe scoperte e scarpe col tacco, a fare da contraltare donne con i baffi, tatuate come marinai, un po’ rudi e dalle sembianze mascoline. Sono i personaggi rappresentati dall’artista francese Madame Moustache che gioca e si diverte con un immaginario ripescato dai primi del Novecento. Collage ispirati a fotografie tratte da vecchie riviste e accompagnati da slogan che recitano frasi così: «Ma chi ha deciso per me che io dovessi essere una donna», dove donna è sbarrato da una riga come se fosse un errore. O ancora «Perché a mettersi a nudo non si perde necessariamente la propria dignità».
Nelle sue composizioni di grandi dimensioni, Madame mescola elementi circensi e travestimenti, inganna con le apparenze, scardina i ruoli. Una maniera ludica per scombinare le identità, come fa a partire dal nome in cui accosta il termine signora a baffo anticipando già l’interesse per temi che riguardano la questione di genere. «Rappresento il mondo del teatro e per traslazione quello delle apparenze – spiega – quel luogo magico dove si può essere chi si vuole, a partire dal momento in cui ci si mostra agli altri. Tutto il mio lavoro si basa su questa idea. M’interrogo molto sulla questione del genere e sullo sguardo dell’altro, un’eredità lasciata dalla mia esperienza teatrale durata dieci anni. È il fil rouge che attraversa il mio lavoro, un tema importante perché universale. Per questo uso le maschere, il trucco per gli uomini, donne travestite. Mi diverto a giocare con le identità e le frontiere per fuorviare e far ridere».
Le sue opere, stampate su carta e affisse in strada, sono correlate da frasi efficaci che attraverso l’ironia invitano a una riflessione, come dimostra Boxing Bologna, il nuovo intervento realizzato a Bologna per Cheap, l’unico festival italiano di Poster Street Art (che usa la carta come supporto, fra gli altri ospiti anche Levalet e Vinz Feel Free) sul muro della palestra di boxe Le Torri intitolata al fondatore Gianfranco Cesari. «Non avevo avuto bisogno di violenza per imparare a battermi»: protagoniste sono due donne che uniscono le mani, sullo sfondo cuori e lacrime rosse.

L’edificio, in un parco vicino al grande complesso abitativo soprannominato «virgolone», e il quartiere popolare e multietnico in periferia non sono stati scelti a caso, ma rispondono a un preciso scopo del festival di coinvolgere parte di una comunità lontana e un po’ al margine rispetto alla vita pulsante del centro. Un territorio a volte fragile e problematico, in cui più che in altri la partecipazione dei cittadini assume un ruolo importante, raccogliendo le persone intorno ad un progetto artistico e simbolico dalla portata sociale e politica, intesa non per i messaggi, ma per quel coinvolgimento di una parte di persone spesso esclusa dai circuiti culturali e non solo. La palestra è anche luogo di aggregazione e la frase sulla violenza in quel contesto allarga ed espande il valore del suo significato.

«Mi ha entusiasmata lavorare sulla nozione di sport in senso esteso – racconta ancora l’artista – La difficoltà era creare qualcosa efficace come un pugno, ma al tempo stesso sottile tanto da suggerire altri spunti oltre la boxe. Difficoltà che ho ritrovato anche nel contesto in cui s’inseriva il muro stesso, un quartiere popolare non necessariamente sensibile all’arte. Volevo che quel muro fosse un legame fra dentro e fuori. Amo lo sport, ma detesto la violenza in tutte sue le forme. Parlare di sport può significare anche parlare di violenza e rappresenta un tentativo di affermare quanto sia inutile ovunque si manifesti».

Le sue opere s’inseriscono nel cuore dello spazio pubblico. «I miei collage – continua Madame Moustache – hanno una patina particolare per l’effetto dei colori sbiaditi e dell’aspetto rovinato. Taglio e metto insieme i pezzi a mano per conservare un aspetto volutamente fragile. La fotografia, il disegno e la stampa sono parte integrante del mio lavoro. Amo che le mie opere subiscano il tempo che passa, che vivano al ritmo del luogo in cui si trovano. Mi piace che una volta posata, l’opera non sia più mia e cominci una propria vita. Qualunque cosa le succeda amo che subisca gli effetti della strada, interagisca con essa e crei un dialogo».

Madame ingrandisce e stampa le immagini in bianco e nero in grande formato, poi aggiunge il rosso con la tecnica del pouchoir, coloritura manuale usata negli anni Venti per le cartoline postali. Simultaneamente alla realizzazione del muro per Cheap la streetartist, classe 1982, ha allestito nello spazio 9mq la mostra Madame Moustache Solo, una dozzina di modelli originali attraverso i quali si può capire il processo di creazione. Da più di un anno, l’artista lavora con la Traffic Gallery di Bergamo, insieme agli italiani Orticanoodles e Lucamaleonte (ospiti entrambi della scorsa edizione di Cheap) e in passato ha già realizzato altri lavori in Italia. Nel 2013 alla Sorbona è intervenuta a una conferenza sulla street art femminile.

A Parigi ha alcuni quartieri d’elezione per lavorare in strada: torna spesso nelle zone che ha scelto perché ha amato l’accoglienza che hanno avuto le sue composizioni o semplicemente perché le piacciono. «È un modo d’iscrivermi in un paesaggio che amo», dice. Ha in programma altri lavori nel nostro paese, alcune mostre personali in Francia e vari festival. Il suo approccio al lavoro è improntato alla totale libertà, è uno specchio del suo carattere. «Il mio procedimento parte da una dimensione intima per approdare a una pubblica. Spesso incollo i lavori in maniera selvaggia, la finalità è arrivare al cuore dello spazio pubblico: mi interessa mettere a nudo l’intimità che ha fatto nascere l’opera».