Appena lunedì scorso il presidente dell’eurogruppo Dijesslbloem si era permesso di leggere davanti alle telecamere un ultimatum verso il governo greco: Atene doveva richiedere l’estensione del programma di assistenza finanziaria e accettare in blocco le condizioni che vi erano allegate, sottoscritte dal precedente governo di centrodestra.

Già prima dell’ultimatum, lo stesso Dijesslbloem aveva fatto un piccolo «golpe» sostituendo il documento del commissario europeo Moscovici con un documento scritto in tedesco, con condizioni inaccettabili. In pratica, era in forma scritta quello che Schäeuble aveva dichiarato a voce: il nuovo governo greco doveva fare come il vecchio, eseguire gli ordini.

È passata solo una settimana e quell’ultimatum è stato dimenticato. Venerdì sera i 19 ministri dell’eurozona hanno discusso ma sono arrivati anche a delle conclusioni. Berlino spesso si è trovata isolata e le sue richieste massimaliste rifiutate.

Trattative, compromesso, accordo, ecco la strategia di Tsipras contro l’Europa dell’austerità. È una sorpresa, un cedimento?

Sicuramente sì, se si considera l’obiettivo finale del governo della sinistra greca: togliersi dalle spalle il peso del debito e rilanciare la crescita dell’economia reale.

Ma attribuire a Tsipras la promessa che l’economia greca avrebbe cambiato corso in un giorno è una grossolana falsificazione. Per chi aveva orecchie per sentire e buona volontà per capire, la strategia di Syriza girava per intero attorno a una parola: negoziare.

[do action=”citazione”]Cosa ha vinto e cosa ha perso Atene venerdì sera?[/do]

Ha vinto in credibilità politica: il nuovo governo greco ha tutta la responsabilità della politica economica e i creditori hanno il diritto di controllare l’andamento dell’economia. Lo faranno attraverso una nuova «troika». Non più emissari della Bce, della Commissione e del Fmi che detteranno la linea alla politica greca ma tecnocrati che interverranno a livello di amministrazione. Le questioni di politica economica saranno dibattute solo tra governi.

Atene ha anche ottenuto di abbattere il rigido 4,5% di avanzo primario per l’anno in corso, previsto dal vecchio memorandum. Ora viene riconosciuto un margine di «flessibilità» da lasciar gestire ai greci. Molto probabilmente, una parte di quel surplus sarà indirizzato verso gli interventi di emergenza alle famiglie senza reddito, costrette a nutrirsi alle mense.

Tsipras non potrà invece tenere fede da subito alla sua promessa di ripristinare il salario minimo del periodo pre-crisi e forse neanche di restuire la 13sima mensilità ai pensionati.

Già domani Varoufakis dovrà presentare ai creditori l’elenco dei punti del vecchio memorandum che Atene accoglie e si impegna a realizzare. È escluso che nel suo elenco siano compresi i nuovi tagli alle pensioni e agli stipendi pubblici e l’ennesima ondata di licenziamenti sottoscritti dal precedente governo.

L’enfasi, lo sappiamo già, sarà data alle vere riforme: del sistema fiscale, dell’amministrazione pubblica e dell’apertura del mercato, combattendo posizioni monopoliste.

Saranno sufficienti? Probabilmente no e Varoufakis ha già annunciato che là ci saranno «grossi problemi».

Per come ha funzionato finora l’eurozona, bisogna parlare solo di cifre: quanto si incasserà dalla lotta all’evasione fiscale? Cosa pensate di incassare al posto dell’imposta sulla prima casa, ora in via di abolizione? Perché avete bloccato le privatizzazioni degli aeroporti che portavano alle casse dello stato ben 10 miliardi?

Probabilmente quindi ci stiamo avviando a un nuovo psicodramma: Varoufakis che insiste su un progetto strategico di stimolo dell’economia reale greca e i creditori, tedeschi in testa, che «non capiranno» di cosa sta parlando, chiedendo in cambio i numeri di futuri incassi.

Ma sono battaglie di retroguardia. Tsipras ha promesso che l’austerità è finita e non è disposto a fare un passo indietro.

Ancora una volta, ci vorrà fantasia e creatività per trovare un nuovo compromesso. E così fino a quando la diga non crollerà del tutto.